Caso/Necessità, Determinismo/Alea, Struttura/Storia, Universale/Singolare sono coppie di opposti che da sempre attraversano il sapere, alla ricerca di leggi che spieghino il funzionamento della natura e del comportamento umano ma che non trascurino la singolarità degli eventi individuali e particolari. Come si inserisce la psicoanalisi in questo contesto? E, soprattutto, qual è il posto assegnato all’evento? Senz’altro l’insieme dei fatti che accadono nella stanza d’analisi può essere considerata una costellazione di eventi che, per gli psicoanalisti, sono eventi psichici. Esiste poi un altro livello al quale poterci riferire per parlare di eventi in psicoanalisi: evento come irruzione, come fatto che accade, o come fatto che ipotizziamo possa accadere; quindi interrogarci su “cosa è successo” (nella vita del paziente), su “cosa sta accadendo” in quel momento (al paziente e all’analista), su “cosa può accadere” (dentro e fuori la stanza d’analisi), su “cosa succederà” (dentro e fuori la stanza d’analisi).
Il determinismo freudiano ha permesso di costruire sistemi di senso e di interpretazione su cui la teoria poggia, ma è anche vero che questa stessa teoria si fonda sull’autoanalisi e su quelle che vengono definite le “cinque psicoanalisi”, casi esemplari da cui Freud ricava i principi fondamentali che permettono ancora oggi agli psicoanalisti di interpretare i fatti clinici. Si può così considerare evento anche l’incontro tra un paziente e un analista. Perciò, quale valore possiamo attribuire al caso singolo, a quella che già abbiamo definito l’”epistemologia del caso singolo”? O meglio, può esistere una teoria della specifica coppia analitica?
Da sempre la psicoanalisi si occupa di quei fenomeni che possiamo definire residuali (lapsus, atti mancati, agiti transferali e contro-transferali), dei resti e di ciò che eccede, in altri termini della regola e delle sue deviazioni, clinamen che sono alla base del movimento e delle trasformazioni. Come inserire nel flusso dell’analisi quegli eventi che possiamo ascrivere al caso? Esiste il caso in psicoanalisi? E qual è il suo statuto?
“… la costituzione di unità o organizzazioni nuove, le associazioni, le mutazioni, e soprattutto i regressi e i progressi costituiscono l’aspetto più originale del problema posto dall’evento” ha scritto Morin. Senza alcun dubbio la clinica psicoanalitica ci confronta con situazioni in cui non vi è posto per la produzione/insorgenza di eventi, dove la fissità e l’impossibilità di una dinamica regressiva si istituiscono nel tentativo di instaurare il sempre eguale, la ripetizione del già là. Che ruolo ha in questa immobilità la realtà storica del paziente? Ha senso interessarsi ad essa? E come pensare un metodo che favorisce, nel suo funzionamento generale, la spinta alla creazione di eventi quando questi invece non sono o appaiono impossibili? Allo stesso tempo, se la ripetizione è la regola, non siamo sempre in qualche modo confrontati alla sua occorrenza, alla sua insistenza, e dunque immersi in una struttura che si organizza – nella sua presentificazione – come evento?