05/05/2017

Report Convegno “La Psicoanalisi interprete del tempo presente” di Aurora gentile

Pensare una costellazione

 

Si è svolto a Roma il 17/18/19 febbraio 2017, il Convegno internazionale “La psicoanalisi interprete del tempo presente”, organizzato dalla rivista Psiche e dalla UFR di Studi Psicoanalitici dell’Università Parigi 7.

Dobbiamo immaginare questo convegno, scrive M. Balsamo, come il punto iniziale di un percorso capace di riunire analisti di differente formazione e stile di pensiero, universitari e non, per discutere insieme e porre le basi di un “laboratorio diffuso” del tempo presente.

Nelle sei tavole rotonde che si sono succedute nei tre giorni del Convegno, sono stati discussi nodi centrali del nostro presente: “il Tempo presente della psicoanalisi”, “Il presente della psicoanalisi all’Università”, “Attualità della questione del sessuale”, “Limiti, frontiere, soggettività”, “Identità, legame sociale, distruttività”, “Attuale del corpo, poteri dell’immagine”, “Cambiamenti nella clinica contemporanea”. Il convegno si è concluso con una conferenza di Giacomo Marramao: “Ciò che la filosofia domanda alla psicoanalisi”.

La Conferenza inaugurale di F. Benslama ha introdotto una lettura poco usuale del terrorismo islamista. C’è un partito preso tanatologico, un punto di vista catastrofista su ciò che accade nel mondo musulmano, come se fosse governato soltanto dalla pulsione di morte. Questo corrisponde all’apprensione quasi planetaria dell’islam e della condizione dei musulmani, compreso spesso loro stessi e nei loro paesi. In breve, il tempo presente dell’area islamica appare come quello di un disastro in cui la melanconia del musulmano si alterna al furore. Ma la faccia nascosta del mondo musulmano del presente, è quella di un rinascimento del XX secolo, che investe tutti i campi della civilizzazione. Emancipazione delle donne dalla reclusione domestica, sviluppo delle istituzioni del sapere culminato nell’istituzione di centinaia di università, afflusso considerevole di risorse economiche, e non soltanto da rendite petrolifere, ma anche da scambi commerciali e genio industriale, estensione delle cure mediche all’origine dell’esplosione demografica, emergenza di un’importante élite di scienziati, scrittori, artisti, produttori di conoscenze e riflessioni sul presente e sul passato, elaborazione di nuovi sistemi di diritto da parte degli Stati post-coloniali, in cui le leggi teologiche sono minoritarie: ecco rapidamente la realtà oscurata dall’attuale apprensione tanatologica del mondo musulmano. La catastrofe dell’ordine antico della comunità, dal punto di vista delle élite progressiste è un autentico rinascimento politico dei paesi musulmani, intesi come pluralità di nazioni. “Ed è così, in questo caso come in tanti altri, che le catastrofi si rivelano, non una caduta (cata), ma simultaneamente una levata (ana): anastrofi, una sorta di fucina come una “anacatastrofe”, che riunirebbe insieme la discesa e la salita. L’obliquità è forse il tracciato che meglio corrisponde a ciò che Tocqueville chiama ‘I veri istinti del tempo’, traduciamo in termini freudiani: tra Eros e thanatos.” (F. Benslama, Perchè il terrorismo?).

 

Il Tempo in cui siamo: l’iper-presente (Vanier, Fasano, Francesconi, Montanari)

“Che cos’è il presente in psicoanalisi? La sua dimensione fondamentale, l’après-coup (Nachträglichkeit), trova il suo corollario logico in un’anticipazione: tra quei due movimenti si smembra l’evento psichico che in questo modo non coincide mai con se stesso. L’uomo è allora proprio l’essere delle lontananze. Il tempo è segnato da uno scarto che si può concepire nel senso indicato da Giorgio Agamben seguendo Gustave Guillaume, come lo scarto «tra il tempo che siamo e il tempo in cui siamo ». Viviamo nel tempo senza pensare il tempo o senza nemmeno avere la sensazione del tempo che scorre, salvo a momenti, nell’urgenza, l’attesa o l’impazienza. L’uomo moderno non ha più tempo, è nell’urgenza permanente di una febbrile sovraoccupazione, prolunga il suo lavoro fin nel tempo libero, sotto forma di un tempo libero imposto: esercizio sportivo e tutto quel che è possibile per assicurare il circuito economico del mondo moderno. Non è oggi il sogno transumanista che promette l’eternità? Fantasia nella quale la tecnica subentra alla religione. Non è forse il rilancio del suo sogno di una vita che comincerà domani?” (Vanier)

L’accelerazione, l’esigenza di efficacia e rendimento a breve, l’indifferenza o apatia nei confronti dell’ambiente, la cancellazione della temporalità storica e processuale a favore di un’immediatezza operatoria, la dinamica della quantità (il profitto) a scapito della qualità (il valore del senso), in un movimento di saturazione che sbarra l’accesso alla transizionalità, richiedono nuove proposizioni metapsicologiche che assumano il funzionamento della seduta, la coppia transfero/controtransferenziale nella sua funzione di attualizzazione e trasformazione/simbolizzazione di vissuti precoci e tracce mnestiche non verbalizzabili? Il superamento della clinica della rimozione, o almeno il suo ridimensionamento, ha rimesso in discussione le categorie classiche che, per esempio, opponevano la costruzione all’interpretazione propriamente detta, l’interpretazione del transfert all’interpretazione nel transfert, per non citare che queste? “Assistiamo (…) in tempi recenti a una nuova forma di arresto della temporalità, che ci sembra essere figlia della mutazione interpretativa (che ha forse sostituito l’interpretazione mutativa) e che restringe, fin quasi all’atrofia, la verbalizzazione al paziente di ciò che si va via via comprendendo. Un “non dire”, che si contrappone al “dire tutto” della regola fondamentale, ma diverso dal primigenio tacito ascolto analitico: l’analista deve riprogrammare silenziosamente il proprio modus comunicativo, adeguandolo a un paziente da raggiungere là dove si trova. Il qui e ora come metodo risulta essere paradossalmente lo strumento per andare là e dove, nello spazio e nel tempo, si pensa sia il paziente. Questo può determinare una dimensione di fusionalità patologica dovuta al fallimento della triangolazione e alla incomprensione maligna che si forma nei soggetti cresciuti senza interiorizzare alcuna aspettativa di comprensione. Britton sottolinea che tale accordo fusionale comporta una scarsa immaginazione: il qui e là, così come l’ora e allora non sono distinguibili, tutto “è fatto in modalità diadica” e “non esiste alcuna concezione di una relazione indipendente con un terzo oggetto”, quindi anche con la temporalità. Riteniamo, invece, che occorra, soprattutto in analisi, procedere ad una graduale “messa in crisi” della cornice rigida e che l’interpretazione debba esserne lo strumento. Un microdosaggio di qualcosa “che può venire a mancare”, un confronto con le differenze/differanze, sempre relativamente frustranti l’onnipotenza fusionale, ma cardini dello sviluppo psichico, possono generare “la capacità di unire due oggetti in modo da evidenziarne le somiglianze senza però intaccarne le differenze”. Un analista che si preoccupi solo di riconfigurare continuamente la propria collocazione, costituendosi come un’ombra che cade sull’io del paziente, otterrà certo di avvicinarsi alle esigenze di accudimento poste dalla parte infantile e bisognosa, ma corre il rischio di far sviluppare una funzione alfa viscosa, che favorisce l’utilizzo dell’analista e dell’analisi come luogo di incremento di proiezione delle parti immobilizzate (non assenze di Bleger, l’accordo assoluto di Britton), quelle che organizzano e mantengono il non-io, agendo sfavorevolmente sulla costituzione dell’Io.
(Fasano, Francesconi)

 

Il tempo presente nell’Università: la perdita di sapere (Hoffmann, Ciambelli, Petrelli)

Nel suo seminario del 1968, Lacan dice che il proprio dell’atto psicoanalitico è di “rivoluzionare” qualcosa. Lo avvicina così all’attività di contestazione scatenata in quell’anno, e di cui propone la seguente analisi: la rivolta studentesca tende a denunciare qualcosa “rimasta occultata nella bolla del sapere universitario”, svelando gli effetti che il progresso scientifico ha sulla realtà economica, vale a dire lo sfruttamento (capitalistico) sempre più esigente. Di questo, l’Università si sarebbe fatta la copertura compiacente e silenziosa, mantenendo una comunità del diniego. Lacan analizza nel 1969-70 il passaggio dal discorso del Capitalista (fondato sull’autorità personale e aristocratica da chi lo detiene) al discorso universitario che si presenta come un sapere puro universale e oggettivo, trasmissibile democraticamente, fondato su un’autorità impersonale che non parla a suo nome e si appella ad un’oggettività truccata, ricostruita a partire da criteri invisibili e incontrollabili. Hoffmann, richiamando Lacan, ha introdotto il pensiero politico attuale sull’università a partire dalle tesi del filosofo francese B. Stiegler (Dans la disruption. Comment ne pas devenir fou ?, 2016). Stiegler oppone la noesi della tradizione all’Antropocene. L’Antropocene è un'”Entropocene”, vale a dire un periodo di produzione massiccia d’entropia appunto perchè i saperi sono stati liquidati e automatizzati, non sono più dei saperi, ma sistemi chiusi, entropici.

“La perdita di sapere costituisce oggi un nuovo processo di “proletarizzazione” in tutte le classi sociali, questo fenomeno aumenta l’entropia classica del capitale, e quella della libido attraverso la demoralizzazione della popolazione, tra cui la demoralizzazione dei ricercatori, degli insegnanti e degli studenti, il che è uno dei maggiori motivi di preoccupazione del nostro tempo. Se la ragione si sottomette così all’automatizzazione dell’Antropocene, consegna la facoltà di conoscere alla pulsione di distruzione. Insomma, dal maggio del ’68, assistiamo ad un “discorso universitario” che rischia fortemente di trasformare la rimozione del soggetto in forclusione sotto l’effetto dell’Antropocene di un capitalismo computazionale. La noesi legando il desiderio ad un oggetto qualunque, un petit objet a, come abbiamo visto con Lacan, costituisce una forza di opposizione alla pulsione di morte”. (Hoffmann)

Le relazioni di M. Ciambelli e D. Petrelli, nella ricostruzione storica della presenza della psicoanalisi nelle università italiane, ricordando soprattutto Roma, Napoli e Padova, dei primi corsi di psicologia, sono state una testimonianza del tenace e appassionante lavoro di docenti psicoanalisti che hanno sviluppato l’interesse di tanti giovani per la nostra disciplina.

 

Attualità della questione del sessuale: un disturbo in psicoanalisi (Laufer, Giuffrida, Santos)

La tesi di un’inevitabile opposizione tra le aspirazioni alla felicità dell’individuo e le costrizioni che la civiltà gli impone è decisiva in relazione all’intreccio tra dimensione psicologica e sfera sociale e al rapporto tra invarianti biologiche e mutamento storico. C’è un filo di continuità nella teoria freudiana dell’edipo che percorre l’intera modernità o abbiamo varcato soglie di discontinuità che modificano alla radice la fisionomia del nostro tempo? Le sofisticate metodiche della medicina interrogano i medici e tutta la società. I nuovi modi di nascere rimescolano i nostri punti di riferimento e costringono gli psicoanalisti a trovare nuovi strumenti e a pensare altrimenti non soltanto le nascite, ma anche le famiglie. Il bambino “a tutti i costi” che è oggi innanzitutto oggetto della medicina, quali possibilità avrà di soggettivarsi?

“La questione è come far incontrare, se possibile, una procedura epistemologica che storicizza categorie e decostruisce nozioni (come per esempio il maschile e il femminile) e ciò che si è convenuto chiamare il Reale della clinica. La teoria e la clinica psicoanalitica sono state trasformate dalle nuove frontiere epistemologiche definite dai saperi contemporanei? Si può allora parlare di una psicoanalisi interprete del tempo presente? O più esattamente “critica” del tempo presente, come intende Foucault? Il binarismo prodotto dai dispositivi di potere che controllano la vita (salute/malattia, soggettività/socialità, privato/pubblico, sapere/ignoranza, adattato/disadattato, valido/invalido) ha infiltrato il pensiero e l’epistemologia moderna.
Gli avanzamenti biotecnologici salgono sulla scena del fantasma e la invadono. Il corpo della donna, il corpo dell’uomo, corpo di parola ma anche di godimento, è l’incontro tra le tecniche mediche, le tecnologie medicali e il corpo. Soprattutto per ciò che concerne le tecnologie procreative che riguardano la questione della filiazione, della riproduzione, della generazione e dunque ciò che certi psicoanalisti chiamerebbero la struttura simbolica di una civilizzazione. Dov’è l’ordine simbolico quando, non soltanto la famiglia è capovolta (si accettano oggi i figli di divorziati, adottati, ecc.), ma anche quando ci sono bambini senza padre o con due madri o con due padri e altro ancora? Le norme di genere si trasformano con le biotecniche. Oggi la pratica analitica ha a che fare con i cyborg: cibernetici organismi prodotti di un desiderio e di una tecnologia, modifica dei corpi, reinvenzione o invenzione di una natura contestata e contestabile.
Questo ibrido d’organismo e macchina sconvolge le dicotomie fondamentali del nostro pensiero: natura/artificio, umano/non umano, natura/cultura, maschile/femminile, normale/patologico… Pensare filosoficamente Cyborg, è riflettere sui rapporti tra la macchina e l’organismo e sulla possibilità di comporli. È anche pensare la differenza dei sessi in legame con la natura e la tecnica e, forse, aprire la strada a un’altra maniera di articolare maschile e femminile” (Laufer)

“La nostra epoca si caratterizza per un immaginario collettivo che esalta lo stato di “indifferenziazione” in quanto simbolo di un’autarchia originaria assoluta e di un’organizzazione narcisistica totipotente e inviolabile. Lo stato di “indifferenziazione” è accompagnato da una difesa primitiva, il “contagio” di cui Freud scriveva in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”, concetto ripreso da Gaddini con il termine di “imitazione“.

E’ nell’ambito di questo registro che, principalmente, osserviamo l’aumento delle patologie legate alla “disforia di genere” e più in generale a manifestazioni riconducibili a comportamenti sessuali perversi, o almeno finora considerati come tali.
L’“indifferenziato” si attualizza attraverso la fantasia di un “genere sessuale unico”, in quanto dimensione di autarchia onnipotente e di permanenza nella condizione bisessuale elusiva della castrazione. Quest’ultima è vissuta spesso come un’amputazione, per via della sua qualità in prevalenza somatica, piuttosto che simbolica. Perchè al livello del narcisismo primario, il primo lutto che si deve fronteggiare, prima ancora di quello legato alla perdita dell’oggetto, consiste nella rinuncia fantasmatica agli attributi che il soggetto non possiede. In questo senso, la scelta di una identità di genere equivale ad una ferita narcisistica senza speranza.
L’abbandono del potere attribuito agli organizzatori classici della psicosessualità, segnatamente le teorie infantili e il complesso di Edipo che, nei quadri psicopatologici di cui ci stiamo occupando, resta sullo sfondo, sembra apparire di rado, soprattutto con un andamento carsico, si deve credere veramente che esso sia stato relegato in una posizione marginale o che sia sparito quale elemento inquadrante della vita psichica?
Non lo penso, ma credo che debba essere articolato con altri miti che hanno dato forma ai destini delle pulsioni e degli affetti dell’umanità”.
(Giuffrida)

“Ora, la problematica della transidentità ci invita a stabilire altri modi di pensare le frontiere della sessuazione del corpo; essa rinforza l’importanza del tornare a una lezione fondamentale presente nelle prime scoperte freudiane e riprese, ad esempio, da Elisabeth Grosz nel suo lavoro sui corpi volatili: “non c’è il corpo in quanto tale, vi sono solo dei corpi – maschio, femmina, nero, bruno, bianco, grande, piccolo – e le gradazioni tra loro. Ciò significa che i corpi non possono essere compresi come oggetti astorici, preculturali o naturali; ciò significa che i corpi non sono solo iscritti, marcati, gravati dalle pressioni sociali esercitate su di essi. I corpi sono i prodotti, gli effetti diretti, della costituzione sociale della natura stessa – le rappresentazioni e le iscrizioni culturali costituiscono letteralmente i corpi, e partecipano alla loro produzione”. Pertanto, si tratta di pensarli non come un’entità inerte, passiva, su cui si iscrive un genere; per Grosz il corpo è formato dalle sue specificità – di sesso, di razza, cultura, classe, età, etc. – e queste specificità, corporeizzate, sono ciò attraverso cui riconosciamo un soggetto in quanto tale: specificità che compongono ciò che l’autrice definisce “soggettività corporeizzata” o “corporeità psichica”, che rende un soggetto intellegibile e che è variabile quanto lo sono i soggetti”. (Santos)

 

Limiti, frontiere, soggettività: estensione dei confini (Dimitriadis, Rabain, Bernateau) 

Di fronte al malessere contemporaneo nelle società ipermoderne, cosa può fare la psicoanalisi, e soprattutto il lavoro psicoanalitico quando si organizza sulla base di dispositivi plurisoggettivi, di gruppo, di famiglia, di coppia e di elaborazione delle sofferenze istituzionali: quale la loro pertinenza e i loro limiti? Gli psichiatri psicoanalisti come possono decostruire le categorie nosografiche attuali? Nel trattamento di adolescenti qual’è il peso del ruolo della famiglia?

“Il disturbo affettivo bipolare è il termine che ha quasi totalmente sostituito, nel gergo psichiatrico attuale, il termine di psicosi maniaco depressiva. Questo tipo di diagnosi, così disgiunta dalla struttura della psicosi, è utilizzata a torto o a ragione per qualificare stati profondamente diversi che, secondo alcuni lavori, rappresenterebbero dal 3 al 5% della popolazione generale, di contro all’1% della psicosi maniaco depressiva. Questo aumento dei casi è senza dubbio in parte iatrogeno se si pensa al fatto che i cambiamenti dell’umore sono anche indotti dalla prescrizione smodata di antidepressivi (una persona su 34 della popolazione dell’ile de France, che pure è la zona che ha il minor numero di prescrizione di antidepressivi in Francia), un mercato mondiale di 12 bilioni di dollari per l’industria farmaceutica. L’inflazione di diagnosi psichiatriche che medicalizza l’esistenza è di per sé rappresentativa della concezione attuale dei problemi psichici riguardo al monopolio dei disturbi dell’umore che sarebbero regolabili, aggiustabili attraverso medicine che regolano i neurotrasmettitori, serotonina o altro, oppure attraverso termoregolatori. La bipolarità rappresenta l’individuo del tempo moderno che corre sempre più, e sempre più veloce, verso non importa quale oggetto; l’iperconnessione sostituisce così le scansioni e le pause necessarie alla costituzione di un ritmo. Se gli psicoanalisti hanno sempre riconosciuto la possibilità degli stati depressivi dei nevrotici, si potrebbe forse concepire, facendo per ora l’avvocato del diavolo della psichiatria contemporanea, la possibilità di stati ipomaniacali, anche se non iatrogeni, nelle nostre nevrosi? Così, mentre negli studi della psichiatria attuale la comorbidità tra disturbi bipolari e disturbi ossessivi compulsivi si attesterebbe sul 20%, non si parla quasi mai nei testi psicoanalitici di una nevrosi che ha fatto un episodio ipomaniacale, mentre si parla molto più facilmente di una nevrosi ossessiva che ha fatto una depressione o di uno stato depressivo in una isterica”. (Dimitriadis)

“Di fronte alle nuove forme cliniche che possono assumere le patologie narcisistiche è necessario rendere il setting meno rigido e sono stati messi a punto nuovi dispositivi definiti «su misura». Tra questi dispositivi (…)un gruppo terapeutico di orientamento psicoanalitico che opera riunendo alcuni adolescenti e i loro genitori intorno a due co-terapeuti. Questi gruppi sono detti «multifamiliari» e «intergenerazionali». Una delle loro specificità è quella di favorire il rimaneggiamento dei legami tra adolescenti e genitori, sensibilizzandoli verso la propria vita fantasmatica per far ripartire la conflittualità psichica” (Rabain).

 

Identità, legame sociale, distruttività: il traumatico (Lamote, Abdelouahed, Mondese, Ambrosiano)

“L’ideologia capitalista propone una visione ristretta della realtà tutta tesa a escogitare semplificazioni e soluzioni immunitarie, immersa in uno stallo melanconico dinanzi ai limiti e ai lutti che la realtà ci propone e che, al momento, sembrano difficili da elaborare. Abbiamo proprio bisogno di riflettere su questa ideologia dominante (come in questi giorni di Congresso) per non colludere inconsciamente con essa e cadere in una sorta di sindrome della sopravvivenza (J. C. Metraux 2011). L’ideologia capitalista ha numerose sfaccettature: economiche, storiche, politiche, importanti per il singolo e per i gruppi. Le implicazioni psicologiche che rendono conto del carattere melanconico dell’ideologia diffusa sono la caduta delle illusioni, l’appiattimento della realtà e della soggettivazione. Temi che confluiscono nello stallo della sublimazione e nell’eccesso di violenza che stiamo vivendo in modo trasversale: i giovani occidentali si uccidono, si tagliano, si drogano; quelli orientali, a loro volta, mettono a rischio la propria vita per compiere stragi in nome di un Islam assemblato ad hoc, che non è più religione ma mentalità”. (Ambrosiano).

“Il trauma sociale, risvegliato da ogni atto terroristico, deve certamente essere legato alla quota di godimento alla quale ogni individuo deve rinunciare per rendere possibile la vita collettiva. Nell’universo dell’Isis non è richiesta nessuna rinuncia pulsionale: tutto è permesso, dalla violenza sessuale all’omicidio, e questo rende l’Isis la strada più breve per raggiungere un mostruoso e nuovo “regno del possibile” (espressione utilizzata da Hannah Arendt per descrivere i movimenti totalitari). È del resto il motivo per il quale, ormai, non sono più tanto le immagini del popolo musulmano oppresso (dall’Occidente), quanto le foto, messe in rete tramite i social network, con l’esibizione oscena di questi godimenti permessi nel Paradiso siriano a suscitare nuove vocazioni in tanti giovani occidentali. Più che gli ideali politici o umanitari, è la promessa di un godimento sfrenato a spingere numerosi giovani ad arruolarsi nello jihad; ed è anche l’incontro di questo godimento, esposto senza dissimulazioni in questa zona di non diritto che è il Califfato, è l’immersione repentina in uno spazio dove qualsiasi freno pulsionale viene cancellato a provocare sia il trauma che il ritorno di tanti nuovi giovani aspiranti jihadisti L’Isis non rappresenta forse una mostruosa ricomparsa di questi movimenti millenaristi? Come questi ultimi, infatti, trascina dietro di sé masse di individui insoddisfatti provenienti da zone devastate dalla logica mercantile. La cosa inquietante, nella situazione attuale, è che queste masse, ai giorni nostri, sono tanto più numerose in un’epoca di globalizzazione liberale in cui la logica di mercato, con la sua propensione a cancellare ogni forma di solidarietà, ha finito con l’insinuarsi in (quasi) tutte le parti del pianeta”. (Lamote)

Il trauma probabilmente è una delle nozioni più aperte della psicoanalisi, fino al rischio dell’equivoco, e sicuramente delle più enigmatiche. Probabilmente per l’ambiguità delle sue convergenze collocate all’incontro tra il dentro e il fuori, per la dinamica dell’eccesso, di rottura e di perdita, per la sua funzione di allarme e protezione come per il suo potere di effrazione. Prestando il proprio apparato psichico e le proprie capacità di rappresentazione, in un lavoro di co-rappresentazione, l’analista può a piccoli passi affievolire gli effetti deleteri del trauma e le loro conseguenze sul funzionamento psichico. “Ascoltare, accogliere umanamente le storie e le parole è necessario a rilanciare il movimento psichico espresso nella lingua comune. Una « ricettività sensibile », diceva Henri Maldiney. I miei pazienti (mussulmani o cristiani, sunniti o drusi) parlano la stessa lingua. Lingua portatrice della carica libidica, affettiva, sensoriale, gustativa, olfattiva. La dimensione affettiva, libidica, è fondamentale nel lavoro con i rifugiati siriani. Le risorse libidiche della lingua offrono ai pazienti nel lavoro clinico un handling (Winnicott) necessario al loro funzionamento psichico, e la lingua può così essere un supporto, un appoggio, un sostegno all’insediarsi di un desiderio di vita, a condizione che questo desiderio sia fortemente presente nell’Altro, in questo caso, l’analista.” (Abdelouahed)

 

Attuale del corpo, poteri dell’immagine: la vita, la morte (Marion, Assous, Misticoni-Iezzi)

“Le pratiche di procreazione assistita presentano steps diversi (omologa, eterologa, utero in affitto e conseguenti incroci, figli per coppie omosessuali, fecondazione post-mortem). Ognuna di queste possibilità offre soluzioni a problemi che prima sembravano irrisolvibili, ma pone anche richieste sempre più impegnative e problemi sempre più avanzati, oltre che dal punto divista etico, anche dal punto di vista delle risonanze emotive e psicologiche profonde. Un fil rouge lega tutte queste esperienze, a cominciare da quelle più lievi a quelle più estreme, e cioè lo spostamento del baricentro personale in un altrove, spesso sconosciuto e che coinvolge il tema dell’origine”. (Marion)

“La psicoanalisi non è soggetta al tempo della modernità ed è quindi di grande aiuto per comprendere situazioni contemporanee talvolta estreme. La metapsicologia si rivela infatti uno strumento adatto anche per le situazioni completamente nuove. E per illustrare il nostro discorso, prenderemo come esempio la situazione medica eccezionale del trapianto in ematologia, davanti alla quale la psicoanalisi non è priva di mezzi, poiché le sue vie di comprensione le permettono di esplorare il nuovo. L’ineluttabilità della morte può essere sventata da una tecnica padrona dell’atto, ma assolutamente non dei suoi effetti, in particolare dei suoi effetti psichici. 
 La psicoanalisi schiva la frontalità della modernità, qui nella fattispecie di una medicina scientifica, proponendo una risposta sotto forma di una domanda diversa da quella posta inizialmente. La possibilità, da parte della psicoanalisi, di compiere un passo di lato, ci sembra essere al fondo ciò che le consente di non ritrovarsi sotto il giogo del “completamente nuovo”, cosa che allo stesso tempo non le impedisce assolutamente di produrre infine dei cambiamenti epistemici, proprio perché essa non risponde all’immediatezza”. (Assous)

“Nell’uso distorto delle comunicazioni via internet e più in generale delle nuove tecnologie, proprio queste due condizioni sono più radicalmente messe in discussione. Soprattutto è messa in discussione l’esperienza del limite. Le teorizzazioni psicoanalitiche sull’Edipo a partire dalle teorie freudiane, non riguardano ovviamente gli aspetti morbosi della relazione della madre con il proprio bambino, o più riduttivamente la proibizione dell’incesto, come una versione più mitologica porterebbe a pensare, quanto piuttosto la concezione di un’idea di limite, di un elemento terzo che abbia una funzione separativa che rompe uno stato mentale permeato da una fantasia onnipotente di fusionalità e di assenza di limiti. Nel fenomeno dei ragazzi “Hikikimori”, terminologia giapponese che significa “stare in disparte, isolarsi”, osserviamo adolescenti che si chiudono in casa interrompendo ogni forma di rapporto con il mondo esterno, totalmente presi da relazioni virtuali via internet. In questi casi è la nuova tecnologia, il computer stesso, che si costituisce come un “oggetto distraente”, realizzando quella condizione in cui prevale l’esperienza di un claustro, volta a distrarre da una vera consapevolezza di sé e della realtà attraverso un uso falso della conoscenza, ovvero della conoscenza come “evacuazione della consapevolezza””. (Misticoni, Iezzi)

 

Cambiamenti nella clinica contemporanea: il dolore, le neo-melanconie (Chianese, André, Recalcati)

“L’esperienza del dolore (Schmerzerlebnis), associata strettamente nel Progetto di una psicologia del 1895 alla costruzione dell’io e dei suoi limiti, scomparirà con la prima topica, e ricomparirà soltanto con l’introduzione del narcisismo. Il dolore, questa “pseudo-pulsione”, è anche inseparabile dalla ripresa della questione del trauma nel 1920. Il dolore e il trauma, entrambi così presenti nel Progetto, scompaiono insieme dalla teoria per riapparire, se non proprio allo stesso tempo, in tempi però assai prossimi. Il trauma che non è più in primo piano nel 1897 è un abuso sessuale, ma quello che fa ritorno nel 1920 è un’esperienza di dolore, che si tratti del trauma intrattabile della nevrosi traumatica, o del trauma simbolizzabile e trasformabile dell’assenza-perdita della madre del bambino nel gioco del rocchetto. Il trauma e l’io sono indissociabili, ogni trauma consiste in un’effrazione, una breccia aperta nelle frontiere dell’io, che la violenza sia fisica o psichica. Forse è anche esatto dire che ogni trauma è dolore, ma un dolore che è allora conseguente a un’effrazione. Nondimeno, quel che cerca di cogliere “l’esperienza del dolore” è soprattutto il dolore come fonte, o origine del trauma. Sono i pazienti in cui la rimozione verte più sugli affetti che sulle rappresentazioni, che consentono di riflettere clinicamente sullo statuto del dolore” (André)

Siamo di fronte a una “mutazione antropologica”? L’argomentazione pasoliniana, costruita sull’analisi degli italiani del secondo dopoguerra, appare tragicamente attuale poiché sembra oggi potersi applicare a tutto l’Occidente, come peraltro lui stesso aveva osservato: «il modello culturale offerto agli italiani (e a tutti gli uomini del globo, del resto) è unico» (P. P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, Mondadori, Milano 1999, 322). Il Pasolini degli Scritti Corsari è stato in effetti presente, in filigrana, nelle riflessioni dei relatori italiani, forse più apocalittici dei colleghi francesi.

“Dobbiamo probabilmente inserire la melanconia come un’altra chiave possibile di lettura del nostro tempo rispetto a quella della perversione e della psicosi.(…) Diversamente dal quadro tipico della melanconia freudiana, nelle neo-melanconie non c’è più traccia della colpa e del masochismo morale che ne consegue. La marca della colpa è stata sostituita da quella, meno incisiva e visibile, dell’apatia che può raggiungere il colmo del rifiuto suicidario della vita. La vita neo- melanconica non è più ripiegata sotto il peso dell’auto-rimprovero e del senso di colpa ma richiusa sul proprio vuoto d’essere, sullo sconforto della caduta totale del senso nel non-senso. Il fenomeno più eclatante che le caratterizza non è quello della colpa – del peso inumano della Legge, ma della sua inconsistenza. ll vero tratto distintivo della neo- melanconia è l’assenza del desiderio, la sua forclusione. E’ il mistero di un corpo biologicamente vivo ma morto in ciò che lo rende vivente, cioè nel desiderio. Il corpo spento è quello delle anoressiche gravi, è un corpo ibernato, mummificato, nirvanizzato. E’ un esito di una cattiva filiazione: solo se il desiderio dei genitori è stato sufficientemente attivo può consentire la sua trasmissione nella vita del figlio. Diversamente quando questa condizione è assente la trasmissione del desiderio si inceppa. E’ una sottolineatura clinica insistente di Lacan: quando manca il desiderio dei genitori, la vita accade come priva di senso; diviene preda di una “irresistibile tendenza alla morte”. Ma questa tendenza non assume necessariamente – come invece avviene nella melanconia ordinaria – le forme del passaggio all’atto suicidario. Con sempre maggiore frequenza incontriamo quadri neo-melanconici anche tra i giovani. Cosa distingue la neo-melanconia dalla depressione ordinaria? La depressione ha sempre una radice strutturalmente nevrotica. Essa concerne la difficoltà del soggetto di attribuire un adeguato valore fallico alla sua vita. La Legge della castrazione è attiva, ma sembra aver inflitto al soggetto una ferita narcisistica particolarmente dolente. Diversamente nelle neo-melanconie, il problema è quello, più radicale, del non accesso al desiderio. Non c’è conflitto tra desiderio e Legge, ma impossibilità ad accedere al desiderio per mancata trasmissione, per mancata eredità. Il soggetto neo-melanconico osserva la vita dall’esterno come non avesse il diritto di parteciparvi. Il suo corpo non è erotizzato, non è animato dal desiderio. E’ una declinazione particolare della forclusione che non colpisce direttamente il significante del Nome del padre, ma la vita in quanto tale” (Recalcati)

“Il tema di questa tavola rotonda è fondamentale, già Gaddini nel 1985 si chiedeva come e se sono cambiati i nostri pazienti. Chiediamoci anche come sono cambiate e se sono cambiate le nostre teorie. I relatori affrontano il tema del nuovo in psicoanalisi in modo differente. Recalcati descrive una nuova sofferenza, la neo-melanconia, per André il nuovo è la ricerca in ogni analisi dell’inedito.

Alla fine del suo Leonardo, Freud lo cita e dice che noi siamo uno degli innumerevoli esperimenti singolari della natura e quindi che la nostra etica è di approssimarsi a questo, questo è il nuovo, in ogni analisi. Ci sono anche delle rassomiglianze tra i due testi: la simbolizzazione e il linguaggio nascono dall’assenza, ma sullo sfondo di una presenza, senza questa l’assenza non dà mai origine al linguaggio. Se nel periodo della lallazione non c’è la presenza, il bambino parlerà, ma il suo linguaggio sarà informazionale (senza fuoco). Come diventiamo umani? Con il linguaggio o quando ci pensiamo come parti indissolubili del vivente? Dobbiamo ristrutturare le nostre teorie perchè sono teorie e dunque trasformabili, altrimenti sono dottrine” (Chianese)

 

Ciò che la filosofia domanda alla psicoanalisi

La conferenza magistrale di G. Marramao è in linea integralmente su radio radicale, così come l’ultima giornata del Convegno, di seguito soltanto uno stralcio di alcuni passaggi.

“Da quale posizione sentiamo il tempo kairologico in cui viviamo? E’ il tempo della globalizzazione, ma anche il tempo della deglobalizzazione. Il globale, questo globale, è caratterizzato da una coabitazione conflittuale di due tendenze: alla uniformazione e alla diaspora. La tendenza alla diaspora è del resto indotta dall’uniformazione, questo ci dà la chiave per comprendere la natura del conflitto globale: conflitto a causa delle disuguaglianze, conflitto dovuto all’ossessione identitaria. Il conflitto radicato nelle disuguaglianza della globalizzazione s’incrocia in uno spazio geometrico variabile (non euclideo) con i conflitti identitari. Abbiamo una difficoltà per l’intreccio tra la dimensione materiale e la dimensione simbolica. L’uniformazione del capitale globale produce una rimozione del problema dell’identità. Questa a sua volta determina la reificazione dell’identità all’interno del conflitto, l’ossessione identitaria è visibile negli Stati che si murano, e nei muri invisibili all’interno delle comunità. E’ importante tornare ai Seminari di Lacan. Lacan può farci uscire da questa sorta di pandemia del mondo globalizzato che io ho definito ossessione identitaria: conflitto tra l’autoaffermazione dell’Occidente del proprio simbolico e la ritorsione reificata dell’identità da parte di gruppi, comunità, individui che si sentono esclusi. Qui la psicoanalisi entra a pieno titolo per spiegarci come possa accadere che la rivendicazione di senso implichi l’annientamento dell’altro, a costo del proprio annientamento, la psicoanalisi può spiegarci la dimensione perversa del conflitto che rende indistinguibili vittime e carnefici. Lacan può aiutarci a comprendere la falsa alternativa tra dimensione linguistica e dimensione naturalistica dell’inconscio. In un’intervista a Claire Parnet, Deleuze ricordava a proposito della sua amicizia con Foucault: ricordo soprattutto come Foucault si muoveva e curvava lo spazio, aggiungendo che: noi non siamo in prima luogo delle persone (etiche), siamo in primo luogo un vento, ogni volta che una singolarità si trova in uno spazio lo fa vibrare in modo unico e da questa vibrazione, da questa aistesis è possibile ricostruire un etos, una modalità di stare in comune. E’ qui il Lacan che possiamo proiettare sul futuro” (Marramao).

 

 

 

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