29/11/2016

Mauro Carta (a cura di): Azioni di Ricerca–Intervento a favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psico-sociali

Il progetto Azioni di Ricerca – Intervento a favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psico-sociali, già attivo nel passato sul territorio del Municipio Roma III nell’ambito delle attività finanziate dalla Legge 285/7/97, ha costituito una risorsa per il sistema dei servizi e degli interventi rivolti alle giovani generazioni.

Nel presente volume viene riportato il rapporto di ricerca relativo ai percorsi e alle metodologie seguite nella realizzazione della ricerca-intervento, basata su percorsi di accompagnamento di preadolescenti ed adolescenti nella speranza che contribuiscano ad arricchire le ipotesi di lavoro sull’argomento.

Idea Prisma ’82 gestisce da più di trent’anni servizi alla persona disabile, pazienti psichiatrici e minori, migranti, attraverso la gestione di servizi domiciliari, socializzazione, centri diurni, case famiglia e interventi nelle scuole e di integrazione.

Associazione Esplosivamente si occupa di attività di promozione del benessere e della salute mentale degli adolescenti; gestisce un sito WEB specializzato rivolto agli adolescenti.

Parsec Cooperativa Sociale nasce nel 1996. I suoi progetti sono orientati al superamento delle diverse forme di marginalità – tossicodipendenza, prostituzione e tratta, immigrazione – alla presa in carico di minori, alla mediazione sociale.

Mauro Carta

Psicologo e Psicoterapeuta, oltre l’attività clinica privata, ricopre da circa venti anni funzioni di coordinamento e gestione di progetti di prevenzione e promozione della salute per la Parsec Coop. Soc.

Azioni di Ricerca – Intervento

a favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psico-sociali

Legge 285/97

  

A cura di Mauro Carta

Gruppo di lavoro

Marco Burattini

Mauro Carta

Chiara D’Agostino

Ilaria Giordani

Giuseppe Luoni

Diego Mantello

Caterina Pericoli

Katia Romano

Anna Maria Speranza

Riccardo Stacchini

 

 

Il presente volume documenta le attività del progetto “Azioni di Ricerca – Intervento

a favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psico-sociali”

 

Realizzato dalla Associazione Temporanea di Impresa tra Idea Prisma ’82 cooperativa sociale (capofila), Parsec cooperativa sociale, associazione EsplosivaMente.

 

www.ideaprisma.it

www.cooperativaparsec.it

www.esplosivamente.com

 

 

 

Il progetto e la presente pubblicazione sono stati finanziati da Roma Capitale-Municipio III con i fondi della Legge 285/97

 

Ringraziamo:

le Assistenti Sociali del Municipio III, in particolare Luisa Tarantino e Paola Conte per la condivisione nell’attuazione del progetto;

le D.sse Daniela Carosella, Loretta Cifone, Caterina Levato, Dusolina Manzo, Lucrezia Pasquale del T.S.R.M.E.E. ASL RM 1 per la condivisione del lavoro sui minori

Indice

Premessa

  1. Progetto 2
    • Principi ispiratori 2
    • Area del supporto individuale alla crescita 3
    • Area del supporto alla relazione genitori-figli 3
    • Area delle azioni di sistema 4
    • Area della ricerca 4
  2. Intervento 4
    • La segnalazione 6
    • Il primo colloquio 6
    • Il coordinamento 6
    • Il gruppo con i genitori 8
  3. Esperienze cliniche 9
    • Davide: io non ho problemi 9
    • Indrit: una cura chiamata mamma 12
    • Marta: il mio mondo nella stanza 17
    • Stella: tutto è normale 21
    • Ivan: alla ricerca di un nuovo inizio 25
    • Lara: la porta socchiusa 27
    • Marco: cariche delle stesso segno si oppongono 29
  4. Il punto di vista del T.S.R.M.E.E. 35
  5. Considerazioni conclusive 35

Premessa

Il progetto “Ricerca Intervento a favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psicosociali” nasce nel 2002, qualche anno dopo gli altri progetti del Municipio III, finanziati dalla legge 285/97: Ragazzi al Centro, Bambini al Centro, Centro Diurno Minori con Handicap.

Questi progetti, insieme ai progetti finanziati dai fondi della Legge 328/00 ( Laboratorio per ragazzi e ragazze, Sportello Famiglia, La Scuola Continua, Spazio Adolescenti alla Scoperta del Mondo, costituivano l’articolazione dei servizi rivolti ai minori ed alle famiglie.

Nel Piano Sociale 2011-2015 dell’allora Municipio IV, si evidenziava una situazione di isolamento dei nuclei familiari dovuto al deterioramento delle reti sociali, una difficoltà delle famiglie a sostenere adeguatamente il dinamismo evolutivo dei figli, che crescendo esprimono il bisogno di essere ascoltati, e di poter esprimere i loro interessi e difficoltà all’interno di contesti adeguati. I ragazzi, manifestano la loro spinta evolutiva in modi talvolta poco decifrabili da parte del mondo adulto innescando reazioni che alimentano la parte distruttiva e provocatoria di questi movimenti. Ogni spinta al cambiamento così come in ogni fase di passaggio, si rompe un equilibrio e più sono percepite forti le forze che resistono, più violenti saranno gli sforzi per trovare un nuovo assetto. Si registra quindi l’aumento di comportamenti fortemente a rischio per il benessere fisico e mentale tra i giovanissimi e i giovani come uso/abuso di alcool, droghe, ed altre forme di dipendenza ormai diffuse (videodipendenza ecc.). Altro problema di attualità legato agli adolescenti é l’aumento dei disagi di natura psicologica: ansia, depressione, iperattività patologica, anoressia, disturbo ossessivo,ecc. Il rischio di distorsioni dei processi di sviluppo e di emergenza di problematiche quali devianza, incidenti, abuso di sostanze o internet e di sviluppo di malattie mentali è di fatto massimo nella fascia di età dai 14 ai 25 anni. Ancora nel Piano Sociale di Zona, il paragrafo sull’analisi del disagio giovanile si chiudeva con l’esigenza di “implementare e rinforzare il sistema, cioè la rete di interventi di prevenzione promozione ed educazione alla salute ad oggi messi in campo, tra questi progetti 285/00 e 328, ed attuare interventi innovativi destinati alla popolazione degli adolescenti e dei giovani adulti[1].

L’analisi di questo contesto, svolta anche attraverso i “risultati del monitoraggio e della ricerca attivati nell’ambito del progetto “Ragazzi al Centro” e per effetto del processo di riflessione che la UOSECS del Municipio IV ha mantenuto attivo partecipando, attraverso i referenti dei progetti, a diversi eventi promossi dalla UOSECS[2], dal Dipartimento V Politiche Sociali[3], dal CNR[4] ed altri interlocutori istituzionali[5]”, ha portato ad attivare un intervento in favore di preadolescenti ed adolescenti a rischio evolutivo

Utilizzare lo strumento della ricerca-intervento mostra la lungimiranza degli amministratori e dell’ U.O.S.E.C.S. Sebbene altri progetti prevedessero un ambito di ricerca all’interno delle loro azioni (Noi Ci Siamo: Conflitti e partecipazione nell’adolescenza e Adolescenti e Tempo Libero: una ricerca nei centri aggregativi del IV Municipio di Roma di Ragazzi al Centro o Politiche Sociali e Progetti per adolescenti di Laboratorio per Ragazzi e Ragazze) altra cosa è programmare un progetto di ricerca-intervento sulle problematiche adolescenziali individuate a partire da altre azioni progettuali.

La ricerca-intervento si pone come obiettivo primario di modificare una situazione attraverso le conoscenze acquisite mediante la ricerca. Quindi è una ricerca che viene fatta non solo per conoscere una situazione, ma per modificarla, nel momento in cui la si studia, e attraverso le comprensione che si ha di essa. Per indagare sui fatti umani e trovare soluzioni ai problemi inerenti a questi fatti non possiamo rifarci a modelli scientifici di matrice positivista, in quanto esisteranno sempre delle soggettività non oggettivabili, ma proprio per questo estremamente preziose da rilevare. L’imprevisto, la situazione occasionale, la complessità della vita insomma, non possono essere interpretate da una legge universale. La ricerca-intervento invece, permette nel momento in cui si indaga, di elaborare teorie sulla realtà sulla quale si vuole intervenire. Si mantiene quel filo che lega il fare al conoscere.

Quella che segue rappresenta la descrizione del lavoro svolto da settembre 2015 a maggio 2016, condotto seguendo questi principi ed all’interno del solco tracciato dalle politiche sociali condivise in questi anni di lavoro sul territorio del Municipio III. Così come si è proceduto insieme durante il corso degli interventi, anche questa pubblicazione da voce ai colleghi che vi hanno partecipato, permettendo alle varie soggettività di esprimere il loro punto di vista nella speranza di restituire al lettore la possibilità di comprendere più che conoscere la complessità di determinati interventi.

  1. Progetto
  • Principi ispiratori

Sappiamo quanto la preadolescenza e l’adolescenza rappresentino fasi della vita in cui il cambiamento è particolarmente ampio e profondo. Sono fasi evolutive aventi scopi e difficoltà specifiche, non assimilabili a quelle di nessun’altra fase del ciclo vitale. Le trasformazioni che caratterizzano la fase della vita di preadolescenti ed adolescenti coinvolgono, oltre il corpo, le attività di pensiero, gli affetti e i rapporti con l’ambiente che li circonda. L’instabilità della fase esistenziale pone richieste specifiche, e non univoche, all’ambiente abituale del preadolescente e dell’adolescente, sia esso quello familiare, sia quello allargato della scuola o del contesto sociale in senso lato.

Come visto in premessa il Municipio III negli ultimi 15 anni ha attivato progetti di promozione dell’agio e progetti più indirizzati ad intervenire sul disagio. Ricerca intervento in favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psicosociali ha lo scopo di intercettare quei giovani che, per cause diverse, si trovano in una condizione di difficoltà evolutiva che non si manifesta sotto forma di una specifica psicopatologia clinica ma che deve essere comunque intesa come una difficoltà dello sviluppo. Si è visto quanto possa risultare utile in questi casi, l’accompagnamento di questi ragazzi nell’affrontare questa fase critica, aiutandoli a fare un’esperienza che li metta in contatto con le loro capacità e la consapevolezza delle proprie azioni viste anche in una prospettiva evolutiva. Si tratta di quelle situazioni in cui qualcosa è successo nelle fasi più precoci, come la mancanza di rapporti stabili e sufficientemente affidabili; ciò può rendere più complicato affrontare, in questo momento di passaggio, anche i più normali compiti evolutivi. Ciò che rende unica l’adolescenza nel nostro sviluppo, e lo sanno anche le società meno evolute, che le dedicano dei riti di passaggio, riguarda il fatto che come non mai in questo periodo si determina come noi staremo nel mondo: sufficiente stima di se e soddisfacenti scambi con altri, piuttosto che condotte di auto sabotaggio delle proprie potenzialità. L’orientarsi verso l’una o l’altra di tali modalità dipende anche dagli incontri dell’adolescente. Seguendo questa linea teorica il progetto si propone, attraverso personale qualificato, di fornire la possibilità a questi ragazzi di fare l’esperienza di un “buon incontro”. Non possiamo non considerare quanto le difficoltà dei ragazzi impattino sui genitori e sulle famiglie, non sempre adeguatamente attrezzate per fornire quel contesto emozionalmente adeguato a trattare le richieste ed i bisogni, talvolta incomprensibili dei ragazzi. Il progetto si muoverà su quattro linee parallele: l’area del supporto individuale alla crescita, l’area del supporto alla relazione genitori-figli, l’area delle azioni di sistema, l’area della ricerca.

  • Area del supporto individuale alla crescita.

L’intera impalcatura degli interventi si propone come un’area intermedia che metta l’adolescente nelle condizioni di utilizzare la figura dell’operatore ai livelli di accessibilità di esperienza più adatti al suo attuale funzionamento psichico. Si tratterà di un accompagnamento del ragazzo nel percorso di crescita, di intermediazione con l’esterno e di integrazione dei servizi coinvolti. Da un punto di vista operativo, tale figura avrà anche la funzione di ristrutturazione del Sé e di un funzionamento che passa per il “fare insieme” e la condivisione del piacere nelle attività, favorendo il sostegno/rafforzamento delle funzioni intrapsichiche e la valorizzazione delle potenzialità individuali di crescita. Questo tipo d’intervento sembra indicato in quelle situazioni in cui il funzionamento mentale, sociale e relazionale dell’adolescente è in stato di stallo o momentaneamente non utilizzato e, comunque, quando il minore, pur avendo bisogno di aiuto, non riesce ad utilizzare una cura centrata esclusivamente sulla parola e si trova orientato prevalentemente sul versante dei comportamenti agiti. La trasgressività è una caratteristica adolescenziale, e un comportamento deviante è prima di tutto un comportamento sociale. Il disagio psicosociale giovanile può esprimersi con segnali diversi, spesso di difficile riconoscimento nel loro significato più profondo, che possono comprendere la messa in atto di comportamenti negativi, l’abbandono scolastico, la difficoltà a dare valore ed utilizzare poli di interesse alternativi. Una parte degli adolescenti che attraversa questa fase della vita in modo problematico, non sa riconoscere il proprio bisogno di aiuto, o non sa esprimerlo direttamente ponendo una richiesta ad istituzioni troppo definite e strutturate. Ne deriva che questi adolescenti presentano difficoltà ad usufruire positivamente di relazioni di supporto univoche, sia perché non si ritengono malati, e quindi non accedono ad interventi di competenza di strutture specialistiche, sia perché la confusione tra ciò che è educativo e ciò che è psicologico, si ripropone problematicamente all’interno della relazione tra adolescente e qualunque operatore si voglia porre con funzioni di accompagnamento e di sostegno.

La capacità di vivere relazioni positive con i pari, l’accettazione e il rispetto degli altri non si possono apprendere attraverso le sole regole e punizioni, ma maturano nel vissuto e nella storia profonda di ciascun ragazzo. Pertanto, in una fase in cui un aspetto della vita emotiva e affettiva dell’adolescente è in stretta correlazione e interscambio con il suo ambiente di vita e i suoi mutamenti, l’operatore svolgerebbe una funzione di Io-ausiliario e di collante in grado di riconoscere, tollerare ed elaborare i continui passaggi da una realtà interna ad una esterna.

  • Area del supporto alla relazione genitori-figli

Esperienze portate avanti dagli enti proponenti in questo ed in altri Municipi evidenziano come sia necessario, in attività rivolte ai giovani problematici, considerare a pieno titolo il lavoro con la famiglia di appartenenza. Se la principale agenzia formativa e socializzante, quale è la famiglia, presenta delle difficoltà o carenze educative nella trasmissione di valori socialmente ed affettivamente adeguati, non possiamo non considerare parte integrante del lavoro un intervento di sistema che la coinvolga. A questo proposito si è rivelato funzionale la strutturazione di un servizio ad hoc per la famiglia. Nel lavoro con le famiglie la relazione d’aiuto prevista è basata sul supporto emozionale ed orientamento nella comprensione della situazione, e delle possibili soluzioni, al fine di offrire un ampliamento di prospettive. Il contesto dell’intervento si sviluppa lungo un continuum di forme d’aiuto modulato sulla base del grado di strutturazione o di profondità del disagio familiare incontrato. Sarà perciò organizzato uno gruppo per i genitori che possa permettere l’emergere e la discussione di emozioni condivise; il gruppo permette l’avvio di processi di confronto e di autoriflessione in un contesto non giudicante che consente l’emergere di contenuti considerati poco condivisibili. In questo modo possono essere riviste modalità relazionali familiari poco funzionali.

  • Area delle azioni di sistema

Quest’area del progetto favorisce la realizzazione di una metodologia di presa in carico dei preadolescenti e degli adolescenti che tenga conto della necessità di coniugare varie funzioni di supporto, psicologiche, educative e sociali e di utilizzare nella cura dell’adolescente figure differenti. Ciò favorisce il dispiegarsi dei molteplici investimenti di cui il pre-adolescente e l’adolescente hanno bisogno per rimettere in movimento le diverse aree del proprio funzionamento. Nello stesso tempo, tale approccio limita i rischi legati al sovrainvestimento di un’unica figura di riferimento, che può attivare un senso di dipendenza e passività difficili da tollerare per l’adolescente.

Per far ciò, la cultura del servizio dovrebbe agire simultaneamente sulla programmazione (politica) e sulla pianificazione (attività), ed i sistemi organizzativi dovrebbero avviare processi dinamici e comunicativi, ciclici; un sistema di rete in continuo apprendimento in grado di esprimere innovazione e qualità nei servizi/interventi e nel procedimento della loro realizzazione, con capacità di monitoraggio e valutazione dei risultati.

Tutta la rete, cioè, deve essere in grado di anticipare e introdurre trasformazioni qualitative per rispondere in tempo reale alla mutevolezza della domanda sociale, degli orientamenti dell’utenza, delle condizioni dell’ambiente sociale, economico, istituzionale e naturale, di cui ogni organizzazione fa parte. Questo significa che ogni membro dell’organizzazione e del sistema deve essere continuamente formato ed allenato ad una cultura di network basata sul pensiero strategico di lungo periodo e sulla forte flessibilità operativa. Il primo dà la direzione, la seconda consente di seguirla.

Per specificare meglio: se un progetto vuole essere luogo di costante apprendimento, deve orientarsi al miglioramento della proprie capacità come alimentatore di innovazione; deve essere un’agente di cambiamento integrato nelle comunità locali; deve stimolare iniziative ed economie locali a diventare sempre più sensibile alla creazioni di reti come strumento per un uso sinergico delle risorse endogene ed esogene; deve promuovere la capitalizzazione e l’interazione di conoscenze ed esperienze diverse.

  • Area della ricerca

Secondo il modello della ricerca-intervento, il progetto si propone come un laboratorio all’interno del quale sperimentare forme diverse di ascolto ed accompagnamento, e di avviare contemporaneamente una funzione di monitoraggio ed attenta verifica delle esperienze d’intervento, anche attraverso il confronto con gli operatori già impegnati nella presa in carico e nella gestione di adolescenti problematici. A nostro avviso l’aspetto della ricerca dovrebbe evidenziare da un lato descrittivamenente le procedure adottate e gli esiti raggiunti; si pensi alla descrizione di un caso in cui si evidenziano degli elementi iniziali che orienteranno l’intervento e serviranno da indicatori per una valutazione finale. Auspichiamo anche un tipo di valutazione di impatto, cioè di quanto l’intervento apporti modifiche significative ai destinatari, al contesto e con quali costi. Il nostro intento è quello infatti di mettere in piedi un intervento che sfrutti appieno le risorse già disponibili del territorio, sia sul piano istituzionale che privato, nella convinzione che ogni ragazzo cui si evita un destino problematico o ancor peggio deviante, rappresenta un vantaggio sociale ed economico per tutta la collettività. Nella ricerca saremo supportati dalla Prof.ssa Anna Maria Speranza dell’Università di Roma “La Sapienza” Facoltà di Medicina e Psicologia dove insegna Psicodinamica e Psicopatologia dello Sviluppo, che metterà a disposizione oltre alla sua preziosa consulenza, gli studenti interessati a svolgere all’interno del progetto la propria tesi di laurea.

Secondo una prospettiva ecologico-integrata, il benessere sociale e, viceversa, la percezione di isolamento sociale, sono condizioni derivanti dall’interazione tra fattori diversi a carattere multidimensionale, ed esplicano la loro azione attraverso processi in stretta interazione tra loro. La configurazione assunta dai diversi fattori potrà esplicare un ruolo di protezione o, viceversa, un ruolo di aumento del rischio di solitudine e/o assenza di supporti sociali.

La ricerca tende quindi a evidenziare quanto l’intervento individuale svolto dal tutor, quello del gruppo con i genitori, all’interno di una progettazione specifica coordinata tra i vari servizi secondo una modalità di case management, possa introdurre degli elementi trasformativi, andando a stimolare le risorse del ragazzo e della famiglia e disinnescando modalità relazionali disfunzionali.

Gli strumenti di valutazione sono stati quindi la Child Behavior Checklist per i genitori, che valuta le competenze sociali e i problemi emotivo-comportamentali di bambini ed adolescenti di età compresa tra i 6 e i 18 anni.

Ai ragazzi sono stati somministrati invece il MACI questionario autosomministrato composto da 160 affermazioni che descrivono comportamenti, modi di sentire e pensare degli adolescenti, il SF-36 un questionario sullo stato di salute del paziente che è caratterizzato dalla brevità (mediamente il soggetto impiega non più di 10 minuti per la sua compilazione) e dalla precisione (lo strumento è valido e riproducibile), il Youth Self-Report questionario di autovalutazione con classificazioni di tipo dimensionale che misura problemi emotivi, comportamentali e competenze degli adolescenti.

  1. Intervento

Il progetto vede una figura di responsabile, con il compito di valutare insieme agli invianti le segnalazioni sui casi da inserire nelle attività, di monitorare il regolare svolgimento del progetto nelle sue fasi, di interfacciarsi con gli invianti al fine di garantire l’integrazione degli interventi, di tenere il collegamento con l’Università per gli aspetti legati alla ricerca e la conduzione, insieme ad una collega, del gruppo con i genitori. Il coordinatore in questo progetto ha svolto oltre alla funzione legata agli aspetti di rendicontazione del lavoro (in questa occasione particolarmente impegnativa e gravosa per le continue richieste della committenza), la delicata funzione di interfaccia con l’utenza. Infatti rappresentava la front-line del progetto e perciò ha dovuto mettere in campo tutta la competenza e sensibilità necessaria a rassicurare e allo stesso tempo proteggere il lavoro degli operatori. Sono stati impegnati quattro operatori due maschi e due femmine, psicologi specializzati in psicoterapia con esperienza specifica nell’adolescenza per svolgere la funzione di tutor. Da segnalare inoltre la presenza costante del gruppo di Esplosivamente, attraverso il sito e la chat a disposizione dei ragazzi. La funzione di supervisore è stata affidata al Dr. Giuseppe Luoni, psicoanalista, già Direttore del DSM della ASL RM A. Il suo contributo si è rivelato particolarmente prezioso in quei casi che presentavano una complessità non prevista dal progetto. A questo proposito occorre segnalare una prima criticità all’avvio del progetto. Il progetto, viene affidato ad un anno circa dalla sua aggiudicazione, ed in quest’anno le figure istituzionali che avevano predisposto l’azione progettuale ed avevano in mente come realizzarla sono state assegnate ad altri incarichi. Ciò ha fatto saltare quel coordinamento che avrebbe dovuto gestire l’azione, individuando, tra l’altro, i casi con i quali svolgere l’attività di ricerca-azione. A questo punto anche l’equipe del progetto si è attivata per individuare i destinatari, ma del tempo prezioso era ormai passato e si è deciso insieme alla committenza di derogare parzialmente alle caratteristiche dei soggetti pensate inizialmente. Questa situazione ha costretto l’equipe a delle variazioni nella metodologia. Tra queste l’utilizzo dei questionari. Inizialmente dovevano servire per la valutazione e quindi somministrati ex-ante ed ex-post. Per motivi di tempo (non poteva essere significativa una valutazione a distanza di tre mesi) e soggettivi (con alcuni ragazzi è stata impossibile la somministrazione) abbiamo utilizzato le informazioni provenienti dai questionari per circostanziare la valutazione complessiva del caso e quindi la realizzazione del progetto individualizzato, specificando quegli indicatori che ci rispondessero circa i possibili cambiamenti avvenuti nel corso del progetto.

  • La segnalazione

L’avvio del progetto ha coinciso con l’avvicendarsi di alcune figure, anche apicali, che avevano ideato l’attività e con le quali si erano concordate dei criteri di individuazione dei casi da seguire. Ciò ha reso necessario un lavoro di coinvolgimento e coordinamento con le nuove figure referenti in modo da avviare quel processo di integrazione tra i vari servizi, fondamentale per l’impianto del progetto. L’obiettivo del progetto non consiste nel produrre un cambiamento nella condizione psicosociale del ragazzo, piuttosto di precisare quella modalità di presa in carico che permetta l’avvio di un processo trasformativo fondato sull’incremento delle risorse personali del ragazzo e dei fattori protettivi sociali e familiari. La segnalazione di un caso non può quindi prescindere da una attenta valutazione congiunta con l’inviante della presenza di questi elementi. Accogliere situazioni che richiedono un intervento di media o lunga durata ed intensità, esporrebbe il ragazzo all’ennesima frustrazione e conferma della ineluttabilità della propria condizione. Questa fase quindi è fondamentale non solo per dare una risposta adeguata alla richiesta di intervento sul minore, ma soprattutto possa consentire di acquisire quegli elementi utili alla ricerca e alla valutazione della metodologia utilizzata. Di conseguenza tutte le segnalazioni arrivate (tramite un modulo anagrafico) venivano presentate dal servizio inviante al responsabile del progetto che a sua volta le discuteva in equipe. Un passaggio dal servizio sociale del Municipio era previsto anche nel caso la segnalazione arrivasse direttamente all’equipe. L’equipe, valutata la presenza dei requisiti minimi per poter impostare un progetto individualizzato, procedeva a contattare i genitori per un primo colloquio alla presenza del ragazzo o della ragazza.

Si sono verificate situazioni in cui si sé reso necessario apportare degli aggiustamenti per riuscire comunque ad impostare un lavoro di senso per il ragazzo ed i genitori, anche ipotizzando obiettivi minimi.

  • Il primo colloquio

Al primo colloquio erano invitati i genitori ed il ragazzo e venivano condotti dal responsabile e dal tutor designato. In questo incontro veniva illustrato il progetto e proposte le attività, di tutoraggio individuale, il gruppo per i genitori e la consulenza on-line. I genitori ed il ragazzo avevano modo di presentarsi e raccontare per quale motivo richiedessero il nostro intervento. Da sottolineare che a causa dei cambiamenti già accennati la maggior parte dei casi non erano inseriti all’interno di una presa in carico che rendesse il nostro intervento naturale, per cui nel primo colloquio dovevamo fare i conti con un’assenza di domanda da parte dei ragazzi, che da parte loro dichiaravano di non aver bisogno di nulla. Dovevamo quindi avviare quel lavoro di sensibilizzazione e di creazione di clima di fiducia che potesse far emergere l’area bisognosa di aiuto. Ai genitori veniva somministrato un questionario, mentre l’operatore faceva conoscenza con il ragazzo andando in un’altra stanza o facendo una passeggiata. Chiudevamo l’incontro con l’accordo tra tutor e ragazzo di vedersi regolarmente.

In tutti i casi siamo riusciti a dar seguito a quel primo colloquio. In un caso, al primo colloquio il ragazzo si è rifiutato di venire e abbiamo parlato solo con i genitori; al secondo colloquio sono venuti con il figlio. In un’altra situazione siamo dovuti andare a casa, in quanto la ragazza si rifiutava di uscire per conoscerci; anche in questa occasione abbiamo portato a termine il progetto.

  • Il coordinamento

Coordinare questo progetto ha significato in primo luogo il mantenimento di un contatto diretto con le famiglie aderenti, sia nel curare l’iniziale parte informativa e di conoscenza del tipo di servizio offerto, sia nel costante monitoraggio del processo di intervento. Il contatto con le famiglie è avvenuto principalmente attraverso la costante reperibilità telefonica necessaria per organizzare e gestire i turni di intervento, di durata variabile in base alla necessità, con un attenzione rivolta alle esigenze e peculiarità delle famiglie e degli stessi operatori coinvolti.

Con gli operatori, oltre alla reperibilità telefonica, al fine di programmare le attività e di valutare l’andamento delle prestazioni sono stati organizzati degli incontri di due ore di riunione di equipe con cadenza settimanale. Le riunioni sono state uno spazio utile ai fini dell’organizzazione presente e della programmazione futura dei processi di intervento.

Ogni operatore ha avuto la possibilità di utilizzare questo spazio per portare la propria esperienza, così da poter attivare uno scambio attivo e partecipato di informazioni, strumenti e modalità di intervento, e poter aiutare ed essere supportati in caso di dinamiche difficili e criticità, a volte presenti nell’incontro con l’adolescente e, seppure indirettamente, con i suoi familiari.

Il coordinamento ha svolto inoltre una funzione di interfaccia e scambio costante di informazioni con i servizi sociali territoriali del Municipio III (ex quarto) di Roma attraverso degli incontri a cadenza settimanale con la Responsabile del progetto del municipio P. Conte e con la Cooperativa.

Coordinare questo progetto di ricerca intervento ha anche previsto fin dall’inizio una concentrazione particolare al mantenimento della sua principale peculiarità: la cura dell’aspetto qualitativo delle prestazioni offerte, più che quantitativo, nell’interagire con diverse sfumature di realtà e di relazioni genitori/figli. La cura dell’intervento con queste realtà è avvenuta fin dal primo contatto telefonico, strumento importante per dare ascolto alle problematiche che venivano riportate alla figura del coordinatore durante i primi contatti telefonici.

Essendo un servizio gratuito, direttamente segnalato dai servizi, legato ad una ricerca, e di breve durata, il primo contatto è stato di conoscenza e approfondimento del servizio stesso. Spesso ci si è scontrati fin da subito con alcune criticità nel riuscire a coinvolgere i genitori, e di conseguenza i figli (utenza diretta), per la poca fiducia nell’efficacia del progetto o per la non conoscenza della possibilità di efficacia di un progetto come questo.

Ma con l’andare dei mesi, visto anche il maggiore coinvolgimento dei genitori attraverso i gruppi svolti bimestralmente, i vari contatti avvenuti erano maggiormente improntati sull’ascolto delle problematiche riscontrate nelle relazioni con i figli .

In particolare ricordiamo alcune situazioni come quella della signora che cercava continue rassicurazioni sull’andamento degli incontri, portando come argomento la sua preoccupazione per la situazione sempre più difficile con il figlio; oppure la mamma che non riusciva a rispettare, e far rispettare alla figlia, gli appuntamenti per gli interventi dell’educatore. O ancora quel papà che non riusciva ad avere fiducia nell’efficacia del servizio, esprimendo anche al figlio questo distacco, e tuttavia osservando la massima puntualità agli appuntamenti ed alla frequenza al gruppo dei genitori. Abbiamo sostenuto una mamma che non riusciva a parlare con nessuno di un importante lutto, compresa la figlia, ma che ha sentito di poterlo fare al telefono.

Coordinare il progetto di ricerca intervento ha significato lavorare a contatto con diversi contesti familiari, e di conseguenza gestire tante differenti modalità di intervento, legate tra loro da una caratteristica fondamentale: il senso del rispetto rivolto al contesto in cui si opera.

Ascoltando i motivi di chi chiama, si è in grado di individuare il tipo di problema, utile per definire le azioni successive, continuando a essere sempre un riferimento per chi si è rivolto al servizio.

  • Il gruppo con i genitori

Il gruppo ha visto il coinvolgimento dei genitori, in coppia o singolarmente, dei ragazzi seguiti a domicilio dai tutor del progetto. Gli incontri svolti sono stati sei, della durata di un’ora e mezzo ognuno, con cadenza quindicinale a partire dal mese di marzo 2016. Il gruppo è stato condotto da due psicoterapeuti ed è stato caratterizzato da interventi di tipo supportivo/ educativi/ riflessivi.

La partecipazione è stata costante e attiva da parte di tutti i membri. Il gruppo genitori si è caratterizzato sin da subito come contenitore di emozioni forti. Nei primi due incontri, di conoscenza dei partecipanti e presentazione delle storie di vita, hanno regnato faticosissimi sentimenti di impotenza e squalifica, andando a caratterizzare il gruppo come organismo depresso e rabbioso. Ciascun “figlio” sembrava essere identificato con l’aggressore e i genitori, solidali, sia in coppia che in gruppo, vittime di meccanismi fuori controllo, di matrice quasi genetica “è sempre stato così da quando era piccolo”. Figli aggressivi da cui ci si deve difendere, che bisogna tenere a bada e di cui non ci si può fidare. “Le abbiamo provate tutte”, la necessità di “fare”, mossa da agitazione, e al contempo non avere strade da poter percorrere sembravano impedire il “pensiero” e la possibilità di dare senso.

Uno sguardo idealmente mobile, ma in realtà sempre uguale sul proprio figlio, su di sé e sulla propria realtà familiare. Sensazione di blocco, di stallo, uno stallo atavico intriso di sofferenza che si trasforma in urgenza. Urgenza che può portare a cosa, però, se le ho provate tutte? E’ un agitato moto circolare, ripetitivo, privo di senso che va a costituire un circolo vizioso distruttivo.

Così come un sistema quando si sente minacciato reagisce innalzando difese e aumentando la guardia, questi genitori producono controllo, spesso oppressivo e asfissiante, come unica azione per loro ancora possibile.

Dai controllori si fugge, si mente loro, perché controllo è giudizio, non accoglienza o comprensione e i figli[6] sembrano non tradire mai questa posizione.

Dai racconti dei genitori emerge un’impressione di altrettanta rigidità in posizioni oppositive e/o distruttive assunte dai figli, sistemi dove il tutto si ripete uguale a se stesso da troppo tempo. Il figlio, amato oppressore, inizia ad essere visto con sfumature lievemente differenti.

A partire dal terzo incontro in cui uno dei conduttori pone una domanda “come si fa a far sì che la responsabilità non diventi una colpa?” i genitori iniziano a non vedersi solo vittime ma possono mettersi in discussione. Iniziano movimenti di confronto fra l’adolescente che il genitore di oggi è stato e l’adulto che ora è. Confronti con il proprio passato ma anche con il passato delle famiglie della coppia, aprendo una significativa finestra sul transgenerazionale.

Le difese sono attutite, ognuno ha sperimentato accoglienza nell’altro presente al gruppo, sembra che il potersi confrontare con storie “peggiori” o “diversamente difficili” abbia rinforzato i partecipanti al gruppo nel proprio ruolo genitoriale e, anche, nella persona che ognuno di essi è. Alcuni figli fanno dei movimenti, più o meno netti, più o meno importanti, che, sia nel bene che nel male, marcano l’uscita dallo stallo. Nel campo emotivo del gruppo entra la speranza, il prendere in mano la situazione con movimenti che nascono da riflessione e pensiero e non da agitazione. L’ingresso di operatori competenti e la relazione che i figli sono riusciti a stabilire con essi stupisce i genitori e sembra essere matrice di mobilità. Il movimento si introduce e il gruppo ha vissuti meno faticosi, ci sono momenti di profonda riflessione, ci si permette di sostenere l’altro e di offrirgli uno sguardo meno duro e/o disperato sulla propria condizione.

Emerge il pensiero.

“Se io sono più tranquilla mi accorgo che anche mia figlia è più tranquilla, ci ho fatto caso in questi giorni”….

“… sta facendo tante cose che non avrei mai pensato facesse, non è cambiato nulla nelle questioni importanti ma ora mangia le verdure, non le ha mai mangiate, parla di più, e ha accettato l’idea di una comunità”

“Ho deciso che devo fare qualcosa anche per me, se io e lui decidiamo di andare al cinema o fare qualcosa non deve essere la sua presenza a renderci tutto impossibile. Forse anche io non devo far dipendere tutto da lui in effetti è vero che potrebbe diventare pesante”

Gli incontri sono pochi, si avverte la fine imminente del ciclo e sembra ci sia una generale sensazione che questo accada troppo presto, di nuovo il confronto con il limite, con l’impossibilità.

Ma cosa ci portiamo dietro?

“Grazie al gruppo io mi sento alleggerita, ho uno sguardo più positivo sul futuro. L’ingresso di una variabile anche in casa ha consentito un movimento. Ho intenzione di proseguire privatamente con il compagno adulto”

“Noi abbiamo visto nostro figlio più sereno con l’educatore rispetto a come è con noi, l’abbiamo conosciuto sotto un’altra veste”

“Io all’inizio mi sono spaventata nel gruppo perché ho sentito situazioni che mi hanno fatto proiettare in un futuro peggiore del presente, poi con il confronto mi sono rilassata”

“Io ho sempre desiderato condividere con altri genitori la mia storia, per la genitorialità messa in discussione, non so se è cambiato qualcosa….”

“So che il rimprovero può essere utile, con me non ha funzionato così. Forse ho più chiaro che accusare non aiuta… la modalità accusatoria, che hanno avuto assistenti sociali con me, mi ha reso ancora più immobile, io mi sentivo giudicata[….] Qui proprio il confronto con situazioni simili e il non giudizio mi hanno fatto sentire meglio.”

“ Mi sono sentita semplicemente meno sola di fronte al problema, minore disperazione e non ho avuto quella sensazione di panico. Quindi non è cambiato nulla ma io ho la percezione di maggiore tranquillità”

 

  1. Esperienze cliniche
  • Davide: io non ho problemi

I servizi sociali segnalano la situazione di un ragazzo di 15 anni con problemi di dispersione scolastica. È già stato rimandato due volte nel corso della scuola media inferiore ed attualmente presenta difficoltà nella frequenza scolastica. Negli ultimi due mesi Davide non è andato a scuola nonostante i tentativi dei genitori, dei quali i servizi segnalano una certa inadeguatezza nell’affrontare e sostenere le criticità del figlio. Il ragazzo vive in una famiglia piuttosto numerosa, composta da sette persone, padre, madre e cinque figli, dei quali Davide è il terzo.

La famiglia ha vissuto nella città natale della madre, fino a due anni fa. Con la morte della nonna paterna, la famiglia si è trasferita a Roma nella casa della nonna defunta.

Il trasferimento imprevisto ed immediato della famiglia ha comportato tra le altre cose il passaggio dei figli da una scuola all’altra e non senza complicazioni. Davide infatti è stato bocciato sia l’anno del suo trasferimento, che l’anno scolastico successivo. Quest’anno inoltre, la maggiore età rispetto ai compagni di classe sta rappresentando un motivo di disagio che ostacola la sua frequenza scolastica. L’assenza prolungata dalle lezioni ha attivato i servizi sociali che hanno convocato la famiglia per un incontro.

Quando il caso ci viene inviato, ci mettiamo in contatto con la famiglia. Al telefono la madre ci comunica che il figlio dopo la convocazione dei servizi, ha ripreso ad andare a scuola regolarmente per cui non necessitano di alcun ulteriore intervento. Sin da subito osserviamo un atteggiamento evitante, a tratti persecutorio, teso ad allontanare qualsiasi estraneo possa intromettersi in problematiche che nemmeno loro sono riusciti ad affrontare.

Tuttavia si riesce a trovare un accordo per un appuntamento per presentare loro le attività offerte dal progetto. La famiglia non si presenterà all’appuntamento senza avvertire. L’atteggiamento evitante è abbastanza evidente e ci fa riflettere sulle reali possibilità di coinvolgimento alle attività del progetto. Tuttavia riusciamo a stabilire un nuovo appuntamento a cui invece si presenteranno, padre, madre e il figlio.

Davide veste come i ragazzi della sua età e fisicamente ci sono i segni del passaggio alla fase adulta, come il baffetto, una voce più bassa e un’altezza normale per i suoi 15 anni. Anche i genitori, come il figlio, vestono in modo casual.

Davide sembra abbastanza imbarazzato e nel percorso che conduce verso la stanza del colloquio rimane silenzioso vicino alla madre. I genitori invece sembrano preoccupati dalla nostra presenza. Tale preoccupazione è emersa quando la madre ha voluto ribadire che il figlio aveva ripreso ad andare a scuola e quindi il motivo per cui si erano attivati i servizi sociali era stato risolto.

Durante la presentazione del progetto, avverto le resistenze da parte di tutti ad aderire alle nostre attività. Davide più volte ci elenca tutti gli impegni settimanali per cui non sarebbe facile vedersi, ricevendo inoltre il sostegno della madre.

Sembra voler trasmettere un’immagine di sé adulta, determinata e con le idee chiare su cosa fare; enfatizza la differenza di età con i nuovi compagni di classe, definendoli “bambini dell’asilo che giocano con le macchinine”. In contrapposizione evidenzia il suo essere più grande mediante la partecipazione ad un’associazione di volontariato che si occupa di assistenza a persone senza fissa dimora. La stessa decisione di frequentare o meno la scuola sembra frutto del suo potere decisionale conquistato, probabilmente, a scapito di quello dei genitori.

L’elemento su cui è stato possibile costruire una relazione ha riguardato il poter affrontare insieme discorsi “seri e non chiacchiere”. Davide esplicita il piacere di parlare e confrontarsi con le persone, “ma per parlare di cose serie”, “non come i compagni di classe che parlano dei video giochi”. Questo obiettivo ci porta ad un accordo per un primo appuntamento, trovando uno spazio nella sua settimana piena di impegni.

Gli incontri di affiancamento con Davide sono stati soltanto due. Un terzo per la compilazione della batteria dei test previsti dalla ricerca. Tra i vari appuntamenti presi, Davide non si è presentato a due, non avvisando della sua assenza come da accordi presi all’inizio. Poi mi dirà che non aveva credito sul cellulare e la madre non aveva il mio numero per avvisarmi del rientro scolastico a cui non poteva mancare. La madre manterrà questo atteggiamento di chiusura e scoraggiamento alla partecipazione del figlio alle attività del progetto.

Al primo incontro Davide mi aspettava sotto casa, con un atteggiamento positivo ed accogliente che ci ha aiutato ad iniziare nel migliore dei modi.

Sin da subito ho cercato di instaurare un relazione diretta, esplicita, ma allo stesso tempo empatica che potesse restituirgli uno spazio di comprensione e confronto. Consapevole delle resistenze iniziali del minore, ma ancor più dei genitori, ho cercato di investire sulla nostra relazione. A tal fine ho cercato di far leva sulle sue risorse e di rinforzarle, creando uno spazio accogliente, protetto e di possibile crescita.

Passeggiando per il quartiere Davide dimostra di possedere buone risorse sociali, salutando diverse persone incontrate per strada. Sento che la conversazione scorre fluidamente, senza particolari inibizioni ed avverto una buona sintonia tra noi. Si parla della scuola e del suo trasferimento a Roma. Parlando della città di origine non emergono emozioni legate alla separazione dalla sua vecchia vita, dalla vecchia scuola, dagli amici, dalla vecchia casa. Ho la sensazione di ascoltare un racconto digerito a forza, quasi come se stesse ripetendo le parole di qualcuno dei suoi genitori, “Roma ha molti rispetto a dove stavo prima: bisognava prendere la macchina pure per andare a fare la spesa”. Ho la sensazione che Davide aderisca ad un’immagine dei suoi genitori, negando le sue emozioni, che sembrano non esserci anche quando gli chiedo dei suoi amici: “ogni tanto capita che sento qualcuno, ma niente di importante”.

Per quanto riguarda la scuola, Davide ha una visione del tutto difensiva, in cui le cause dei problemi sono da ritrovarsi fuori da sé e dai suoi genitori. “La colpa è dello Stato che non mi ha fatto iscrivere subito quando ci siamo trasferiti e per questo sono stato bocciato”.

Sento una perfetta adesione con il pensiero e le scelte dei genitori, i quali dal suo punto di vista non hanno nessuna responsabilità per quello che è successo a scuola, ma è colpa di qualcun altro se si sono presentate difficoltà, vedi lo Stato o i professori.

In questa discussione ho cercato di farlo riflettere sul carattere di imprevedibilità ed urgenza che le scuole, a cui si sono rivolti, hanno dovuto affrontare. In particolare, chiedere di iscriversi a dicembre/gennaio è molto difficile perché tutte le iscrizioni sono terminate e la maggior parte delle classi sono già piene, per cui attribuire tutta la colpa alla scuola o allo Stato non è giusto. Ho tentato di forzare la mano, di mettere in discussione il suo punto di vista, cercando di spostare parte della responsabilità sulla scelta dei genitori di trasferirsi da un giorno all’altro. Tuttavia Davide intorno a questo argomento ha probabilmente costruito una solida corazza, che si manifesta con la completa adesione ai genitori, ma non senza conseguenze.

Dietro alla suo modo di mostrarsi maturo e determinato, si notano alcune fragilità ed insicurezze. In particolare, a fronte di un’attività che richiede un impegno e che presenta a sua volta difficoltà, tende ad evitare la sua risoluzione, mostrando una scarsa tolleranza alla frustrazione, per poi svalutare l’attività stessa ed infine abbandonarla.

Sono diverse le situazioni in cui è possibile osservare tale dinamica. Per esempio mi racconta di essersi iscritto a scuola di musica per imparare il violino. “Ma che strumento è? Si rompono le corde, troppo difficile! E ho lasciato perdere.” “Ora da due mesi ho iniziato a suonare il pianoforte, mi piace tanto”. Altro esempio, durante il compito di disegno tecnico, dopo aver provato a realizzarlo non riuscendoci, l’ha completamente cancellato consegnando il foglio in bianco. Inoltre quando aiuta i bambini a fare i compiti, nella sua associazione di volontariato, lui si stanca subito perché “mi fanno perdere la pazienza e sono difficili da gestire”.

Mettendo a confronto le diverse situazioni e facendo emergere le analogie, cerco di far emergere le sue emozioni. Non riesce ad esprimersi bene, ma questa volta entra in contatto con il suo vissuto. Mi racconta della vergogna provata davanti a tutti quando si è spezzata la corda del violino, e la sua voce ancora ne è piena. Al senso di vergogna contrappone il voler essere perfetto davanti agli altri, e quindi il voler ricercare quelle attività in cui possa avere successo, ed evitare tutte quelle che possano suscitargli emozioni negative.

È probabile che l’esperienza di fallimento scolastico alimenti questa sua insicurezza e fragilità e lo porti ad evitare del tutto la sua frequenza, ma attribuendo la responsabilità alla differenza di età coi compagni di classe, o all’atteggiamento disinteressato dei professori.

Altro aspetto centrale. e probabilmente determinante la fine prematura dei nostri incontri, è l’angoscia di separazione dalla famiglia. Davide mi racconta della paura che ha provato quando è arrivata la notifica dei servizi sociali a casa, poiché quella lettera poteva significare il suo trasferimento in casa-famiglia. Probabilità che aveva sentito da un racconto di un’amica della madre a cui era accaduto lo stesso con il figlio. Quel racconto ha smosso qualcosa in lui che lo ha riportato ad andare a scuola. Tuttavia la nostra successiva attivazione, alimenta in lui questo timore. Paure che si sono alimentate durante il primo colloquio di presentazione presso la ex sede della scuola Uruguay, che a suo modo di vedere ha le caratteristiche di una casa famiglia.

Inoltre le batterie di test somministrate sono state interpretate come persecutorie, atte a confermare uno scenario personale e familiare problematico tanto da separarlo dalla famiglia. Lo rassicuro sui motivi della mia presenza, che sono del tutto contrari alla questione casa-famiglia. Infatti gli rimando che i nostri incontri sono finalizzati proprio a sostenere il suo impegno a scuola, e ad affrontare meglio le situazioni che lo possono mettere a disagio.

I risultati dei test confermano tale atteggiamento. “L’intera batteria dei test compilati dalla madre e da Davide indicano una scarsa attendibilità perché le risposte sembrano un tentativo forzato di mettere a tacere qualsiasi preoccupazione. Nella CBCL e nello YSR, che hanno tutti punteggi molto bassi, persino le descrizioni relative alle attività scolastiche ed extrascolastiche ribadiscono che il ragazzo si colloca nella norma, come gli altri suoi compagni, e questo sia nelle risposte della madre che in quelle del ragazzo (Davide – che è stato segnalato per dispersione scolastica e per essere stato bocciato due volte – ritiene addirittura di essere uno studioso e di riuscire meglio degli altri in alcune discipline scolastiche). L’aspetto difensivo e di negazione sembra essere condiviso all’interno della famiglia. L’atteggiamento difensivo è evidente e nel MACI emerge anche un punteggio molto basso alla scala X (Apertura) che dovrebbe indicare il grado di onestà e apertura nel parlare di sé e dei propri problemi. Tale punteggio potrebbe invalidare l’intera valutazione effettuata. Tuttavia emerge con un certa significatività un modello di personalità Masochistico (Auto-frustrante) che indica la tendenza a non sentirsi degno delle cose positive della propria vita e a ritenere che “le cose belle semplicemente non durano” e che “non è insolito sentirsi solo e indesiderato”. Questi tratti possono far pensare anche ad una tendenza leggermente depressiva che però non emerge da altri valori del test.”

Nonostante la buona relazione costruita fino a quel punto, e confermata dallo stesso Davide, la sua angoscia e, probabilmente, l’atteggiamento contrario dei genitori, hanno determinato la fine dei nostri incontri.

Preso atto della fine del mio intervento, in equipe abbiamo deciso di contattare i genitori per un incontro finale di restituzione. Se da una parte è stato difficile riuscire a parlare con uno di loro, quando possibile il padre ha demandato alla madre la conferma dell’appuntamento. Da quella telefonata, i genitori non hanno più risposto al telefono. Ancora una volta i genitori hanno dimostrato scarse risorse genitoriali, e bassi livelli di responsabilità.

La fine prematura degli incontri non ha favorito la costruzione di un percorso di riflessione e confronto con risultati visibili.

Gli incontri, invece, hanno dato la possibilità di osservare alcune dinamiche rispetto ad alcune situazioni. Queste nel limite del possibile, sono state oggetto di riflessione. La relazione con Davide mi lascia una sensazione dagli aspetti ambigui. Da una parte mi è rimasto il piacere e la sintonia con cui si riusciva a discutere. Dall’altra mi è rimasto il senso di rifiuto e allontanamento.

  • Indrit: Una cura chiamata mamma

Il TSRMEE di via Dina Galli segnala la situazione di disagio di un ragazzo successivamente al suo trasferimento in Italia. Risulta iscritto alle terza classe di una scuola media, dove sta riscontrando diverse difficoltà. Nonostante abbia frequentato tutte le otto classi della scuola albanese, presenta notevoli difficoltà nella lettura e scrittura, anche della propria lingua. La promozione agli anni successivi sembra non essere avvenuta per meriti scolastici, ma per non complicare una situazione familiare già particolare. Su spinta delle attuali insegnanti che vorrebbero il sostegno per il minore, la madre è stata ricevuta dal Servizio per un incontro con Indrit, mediante il quale è stato possibile ricostruire la storia del minore.

Indrit di 13 anni è il secondo di tre figli, il maggiore di 16 e il minore di 10.

Subito dopo la sua nascita in Italia, a causa di alcuni problemi con la sua documentazione, Indrit è stato lasciato in Albania in custodia alla nonna materna, dove ha vissuto fino all’età di 12 anni e mezzo. Gli altri due figli invece hanno sempre vissuto a Roma con la madre. Il padre dei tre ragazzi vive e lavora in un’altra città e i rapporti con la madre sono scarsi; del tutto inesistente il sostegno economico di quest’ultimo. La madre attualmente vive con un compagno.

Quando il caso ci viene inviato ci mettiamo in contatto con la madre per fissare un primo appuntamento. Sin da subito la signora si è mostrata disponibile e contenta di ricevere un sostegno per il figlio.

All’incontro di presentazione del progetto, la signora ed il figlio si presentano con circa un’ora di anticipo: non sapeva quanto avrebbe impiegato con i mezzi a raggiungere la sede. La signora è ben truccata e mostra i lineamenti caratteristici dell’est. Indrit è un ragazzo esile, molto timido e nasconde il proprio viso tra il giacchetto e il berretto. Non sappiamo tanto della loro situazione e soprattutto siamo titubanti sulle possibili azioni che potremmo mettere in atto visto le difficoltà linguistiche del ragazzo. Quindi esortiamo la signora a raccontarci la loro situazione.

Mentre la madre parla, Indrit mostra tutto il suo disagio mantenendo lo sguardo basso e continuando a nascondersi dietro il giacchetto, quasi a proteggersi da ulteriori incontri con sconosciuti. Tuttavia ogni tanto alza lo sguardo e quando ci incrociamo accenna a dei sorrisi. Questo mi consola e penso che lo rassicuri. Nonostante la scarsa conoscenza dell’italiano, il ragazzo sembra seguire i nostri discorsi.

La signora ci mostra subito un atteggiamento molto pratico e schietto, ma anche attento a far fronte alle difficoltà del figlio, esplicitando la richiesta di un documento grazie al quale poter fare la richiesta del docente di sostegno per il nuovo anno scolastico, così come riferitole dalla scuola. In seguito capirò meglio che la signora spera che le difficoltà dei figli svaniscano presto e che tutte e tre diventino prima possibile autonomi in modo da non pesare ulteriormente sulle spalle sue e del compagno.

Durante il colloquio la madre ci racconta la volontà di voler portare Indrit in Italia sin da subito, ma l’attaccamento della nonna materna nei confronti del nipote ha sempre ostacolato il suo trasferimento. Per condividere del tempo insieme, ogni anno, durante le vacanze estive, la signora coi due figli si è recata in Albania. Tale situazione si è prolungata per 12 anni, fino a settembre scorso, quando a seguito di accesi diverbi tra la madre e la nonna, la prima ha deciso il trasferimento del figlio. Tuttavia, Indrit non sembra essere stato coinvolto nella decisione. Durante il colloquio il dott. Carta, infatti, ha fatto riflettere la madre sulle reali intenzioni del figlio circa il suo trasferimento e sulle difficoltà che lo stesso adesso si trova ad affrontare.

La madre non sembra consapevole delle difficoltà del figlio, piuttosto sembra più focalizzata su se stessa, ribadendo che una madre vuole i figli vicini e fa di tutto per ottenerlo. Ciò che emerge infatti è il forte risentimento nei confronti della madre che l’ha costretta a rimandare tale situazione negli anni, inasprendo i rapporti tra loro, ma soprattutto precludendo al figlio la possibilità di crescere insieme al lei. Infine la madre ci ha voluto comunicare la sua difficoltà a esprimere il suo affetto al figlio. “Non è nelle mie corde dimostrarlo con coccole e carezze, anche perché loro sono grandi”. Il lavoro su questo aspetto risulterà centrale nell’intervento effettuato.

Mentre la madre compila i questionari previsti dalla ricerca, Indrit non è contrario a fare due passi fuori in mia compagnia e così andiamo.

Mi conferma il fatto di riuscire a comprendere abbastanza bene ciò che ascolta e si esprime discretamente. Adesso non si nasconde più dietro il giacchetto e mi racconta della cagnolina Lola che ha lasciato in Albania. Mi dice che quando sente la nonna per telefono gli capita di pensare alla sua vita in Albania e si sente più triste. Adesso però ci pensa di meno. Sin da subito ho la sensazione che Indrit abbia bisogno di uno spazio dove poter parlare della sua vita albanese, delle sue attività, dei suoi interessi, dei suoi amici, delle sue competenze. Gli rimando che comprendo le sue difficoltà, del tutto comprensibili e normali per una persona che si trasferisce in un paese nuovo, dove si parla una lingua diversa, dove le cose funzionano diversamente, soprattutto trasferendosi dalla campagna alla città. Gli rinforzo il fatto che in pochissimo tempo già riesca a comprendere e a comunicare qualcosa.

Ho la sensazione che ci sia una buona sintonia tra noi, per cui non ci sono resistenze nel fissare un appuntamento. Ha difficoltà a ricordare l’indirizzo di casa ed il numero di telefono, rimandandomi alla madre.

Gli incontri di affiancamento con Indrit sono stati 14, con regolare cadenza settimanale. Al minore non è stata somministrata la batteria dei test prevista dalla ricerca a fronte delle sue difficoltà linguistiche. In generale Indrit è stato sempre presente agli appuntamenti denotando il bisogno di uno spazio tutto suo e la buona alleanza creatasi tra noi.

Il quadro emerso dalla CBCL somministrata alla madre, indica sostanzialmente una situazione di disagio lieve, caratterizzata soprattutto da Ritiro/depressione (che comunque non raggiunge valori clinici soprasoglia) e che sembrerebbe essere l’esito dell’esperienza di separazione e difficoltà di inserimento del figlio nella nuova realtà italiana e all’interno della sua famiglia con la quale tuttavia ha condiviso poco le sue esperienze affettive più significative. Al primo incontro arrivo con l’intento di conoscere meglio la famiglia in modo da poter capire anche le risorse a cui Indrit può accedere in questo momento. Lo ncontro mentre rientra da una passeggiata con Willy, il cagnolino della mamma. È sorridente e sembra contento di vedermi. Da lontano mi saluta con la mano. Entriamo in casa dove trovo la madre, il compagno e il fratello maggiore. Sono accoglienti e mi invitano ad accomodarmi, mentre la madre prepara un caffè turco.

Dopo pochi istanti la signora conferma la sua praticità e schiettezza raccontandomi che il giorno prima era stata contattata dalla scuola perché Indrit aveva risposto male ad un’insegnante. La signora si dice molto preoccupata per il figlio, tanto da aver attribuito il suo malessere dei giorni precedenti, “ho avuto la febbre a 40°C! Io non ho mai la febbre!”, come conseguenza delle difficoltà del figlio.

I discorsi della madre e del compagno fanno emergere le loro aspettative sui ragazzi, focalizzandosi principalmente sulla loro capacità di diventare autonomi ed avere un futuro lavorativo, senza pesare ulteriormente sulle spalle loro: “è importante cavarsela da soli e trovare lavoro”. La questione economica emerge come aspetto centrale con cui la famiglia si misura costantemente. La signora ad oggi non può contare sulla sicurezza di un lavoro costante. In questi anni ha lavorato come badante, ma adesso lavora solo saltuariamente. La madre riporta tanti esempi e non si astiene dal raccontarmi che le insegnanti del figlio minore hanno provveduto a pagare la quota della gita che altrimenti non avrebbe potuto fare.

Inoltre, ho come la sensazione che l’economia familiare fosse l’unico problema a cui prestare veramente attenzione, mentre le situazioni personali, relazionali, affettive, avessero un ruolo minore. Inoltre, qualora qualcuno dei figli presenti particolari problemi, la madre li minaccia dicendo loro che raggiungeranno il padre e poi sarà lui ad occuparsi di loro.

L’esempio del figlio maggiore è esplicativo di ciò che loro si aspettano: il ragazzo si è iscritto ad un istituto professionale per meccanici, ed ogni mattina esce alle 6:15 per raggiungerla coi mezzi. Subito dopo inizierà a lavorare e a guadagnarsi da vivere. Tale impegno è indicativo per i genitori della volontà del ragazzo di crearsi la propria autonomia e vita futura.

La situazione di Indrit, invece, che necessita di un loro supporto “supplementare”, crea qualche difficoltà e responsabilità che probabilmente non sono abituati ad affrontare. Se da una parte la madre sembra attivarsi per aiutare il figlio, dall’altra mostra dei limiti nella sua gestione. Inizialmente ho accolto le loro preoccupazioni, invitandoli a comprendere anche le difficoltà del figlio che si trovava a vivere una quotidianità del tutto nuova. Li incoraggio inoltre, dicendo che Indrit sembra aver le capacità per farcela. Stimolo tutti a non avere fretta e ad offrire un sostegno adeguato, evitando eccessive pressioni nei suoi confronti. Tuttavia diverse volte capiterà invece che subisca le pressioni e le svalutazioni dei familiari. Durante un incontro per esempio, Indrit consegna alla madre una comunicazione della scuola riguardante un’uscita. Il compagno della madre insisteva nel farlo leggere a lui visto che va a scuola, e anche i due fratelli erano insistenti nel fargliela leggere. Indrit era visibilmente a disagio e tra qualche risate e qualche ammonizione per il fatto che dopo cinque mesi ancora non sapesse leggere, si è alzato andando nell’altra stanza vergognandosi visibilmente. Il mio intervento è stato quello di mediare le loro aspettative con i bisogni del ragazzo, invitandoli ad incoraggiarlo piuttosto che prenderlo in giro. Non sempre sono sembrati disposti ad accettare le difficoltà e tanto meno a concedergli altro tempo, da un lato perché non colgono le sue difficoltà, dall’altra perché Indrit non mostra alcuna motivazione ad apprendere ed integrarsi.

Durante i primi incontri mi racconta della sua vita nella campagna albanese, della nonna, dello zio. Mi disegna il terreno che gli ha regalato il nonno dove coltiva le arance, le mele, gli ortaggi, dove tiene e alleva i suoi cani. Mi racconta delle sue piacevoli uscite con i pastori e con i greggi, delle volte che andava a caccia con il fucile, di quando andava a pescare, di aver praticato per più di sei mesi falegnameria. Mi dice inoltre di aver imparato da un suo amico pastore a macellare un agnello. Questi racconti mi restituiscono un’immagine del ragazzo del tutto nuova, piena di attività, di interessi, di amicizie, di appartenenza territoriale. Pensare che tutte queste attività siano state sostituite principalmente dalla scuola e dallo stare 6-7 ore a seguire delle lezioni con problemi linguistici, rende comprensibile come la tristezza e la nostalgia possano riempire le sue giornate.

Un aspetto problematico emerso è rappresentato da un atteggiamento prepotente nei confronti di ragazzi più piccoli, in particolare, dei compagni del fratello minore. Atteggiamento che non è mai emerso nella nostra relazione. Al contrario, durante i nostri incontri si è rapportato sempre con molto rispetto. Prepotenza caratterizzata da un uso del linguaggio volgare e offensivo. Riscontrerò in seguito che a casa l’uso di parolacce ed insulti è frequente tra i grandi, utilizzandole anche a mo’ di scherzo. Tuttavia i ragazzini ne fanno un uso del tutto spropositato per cui sono intervenuto più volte. Atteggiamento che si è verificato anche nella sala ricreativa della chiesa del quartiere, dove i giovani della zona si ritrovano per giocare, ma anche per ricevere un aiuto nel fare i compiti, come i fratelli di Indrit. Il prete mi dice che questo è il loro atteggiamento solito e che necessitano della presenza costante di un adulto. Quando arriverà un bambino più piccolo per giocare, Indrit gli dirà più e più volte di non giocare, rimarcando la cosa con degli insulti, del tipo “che c…o fai? Sei un mongoloide”. In disparte si dirà dispiaciuto per quanto successo.

È probabile l’ipotesi per cui la sua frustrazione e il suo conflitto trovino espressione nelle relazioni coi più piccoli, quasi a designarli come vittime delle azioni dei più grandi, riproponendo le proprie ingiustizie percepite nei suoi comportamenti. Tuttavia non ho un riscontro delle relazioni che Indrit intrattiene con i pari. I suoi racconti, si limitano ad un netto “bene”, per cui non posso avere elementi di paragone per portare avanti l’ipotesi su descritta.

Dai nostri incontri è emerso il conflitto intenso che il ragazzo stava vivendo. Infatti ha dovuto scegliere tra rimanere in Albania con la sua vita ma senza la mamma, e venire a Roma separandosi da tutto per stare con lei. Entrambe le alternative, prese singolarmente, sono frustranti e sottraggono aspetti importanti per il suo benessere. Rimanere in Albania avrebbe significato sentirsi in colpa per non aver scelto la propria madre, nonostante la continuità con le proprie attività e amicizie. Al contrario, venire a Roma significava sentirsi in colpa per aver rinunciato alle cose costruite fino a quel punto per vivere finalmente con la madre e ricevere l’affetto che gli era mancato. Idealmente un giorno mi dirà che avrebbe preferito che mamma si fosse trasferita in Albania. Tuttavia le cose sono andate in modo diverso da ciò che desiderava. In particolare mi racconterà che quando la nonna stava per ritornare in Albania, dopo la lite con la mamma, lui aveva deciso di voler tornare con lei. La madre, però, lo ricattò dicendogli che se fosse partito, loro non si sarebbero mai più sentiti. E per questo motivo, lui è rimasto.

La scelta di vivere con la madre, in questi primi 6 mesi non stava producendo gli effetti sperati dal figlio, non ricevendo quell’affetto desiderato per tanti anni. Affetto che avrebbe potuto in qualche modo compensare o quanto meno alleviare la sua sofferenza per il cambiamento. Una volta per esempio, dopo aver parlato con Indrit dell’importanza di trovare uno spazio per condividere con mamma i suoi bisogni e le sue difficoltà, al ritorno a casa, lui l’ha abbracciata e le ha dato un bacio. La madre, come un sasso, non ha risposto né all’abbraccio né al bacio. Al contrario sembrava molto imbarazzata, impacciata, immobile, forse per la mia presenza, forse per una sua difficoltà. Questa assenza di calore sicuramente esercitava un effetto negativo sul benessere del figlio, alimentando ulteriormente il suo disagio.

L’intervento nel corso dei mesi ha assunto sempre più il carattere di mediazione, in particolar modo tra la madre ed il figlio. Si è cercato di avvicinare i due, di creare un confronto tra loro, una condivisione di significati e di emozioni e soprattutto delle speranze della madre nei confronti del figlio, aspetto non presente inizialmente.

La costanza dei nostri incontri, il coinvolgimento del ragazzo e la buona relazione che si è costruita durante il nostro percorso ha favorito il raggiungimento di alcuni obiettivi importanti per il benessere psicologico del minore. Di seguito descriverò i principali obiettivi raggiunti e i punti di svolta che più hanno favorito il loro raggiungimento.

Uno degli obiettivi dell’intervento, considerata la difficoltà della madre a partecipare al gruppo genitori per la mancanza di un mezzo proprio, è stato sviluppare in lei la consapevolezza circa i bisogni del figlio, della necessità di sostegno in questo cambiamento significativo, fornendogli gli stimoli e supportandolo nelle difficoltà.

Durante i nostri incontri è emerso più volte che egli non condividesse con nessuno dei suoi familiari il suo passato, riferendo come tutti gli ripetessero “stai zitto, non parlare sempre dell’Albania”. La svolta si è avuta a metà aprile, dopo i primi sei incontri. Durante tale incontro mi ero agganciato all’abbraccio non ricambiato dalla madre di qualche incontro precedente. Mi confida la sua difficoltà a comunicare questo bisogno alla madre.. Gli rimando l’importanza di condividere le proprie emozioni con qualcuno, dandoci la possibilità di stare meglio. E proprio quando torniamo a casa, capisco subito che aveva recepito il mio messaggio e stava cercando di ritagliarsi uno spazio. Tuttavia l’imbarazzo, e forse l’atteggiamento della madre, gli impediva di parlare direttamente con lei, chiedendo a me di farlo. La situazione era imbarazzante e cerco di iniziare il discorso per poi far continuare lui. Quindi ho iniziato dicendo che Indrit voleva comunicarle un suo bisogno. La madre, in questa situazione imprevista, ha risposto senza aspettare che il figlio continuasse, chiedendo se si trattasse della richiesta di un cane, o di soldi. Le sue risposte confermavano quel senso di concretezza, di superficialità e di scarsa empatia che anche negli incontri precedenti erano emersi. Chiedeva ripetutamente al figlio di cosa avesse bisogno, dicendo “non capisco di cosa ha bisogno”. Sono intervenuto dicendo che non si trattava di soldi, ma di qualcosa di gratuito, di più intimo. Tuttavia Indrit di fronte all’atteggiamento della madre non riusciva a trovare lo spunto giusto per prendere parola e continuare il discorso. Al contrario mi ha chiesto più volte di non dire più nulla. Allora lì ho capito che dovevo dare una scossa alla situazione ed essere chiaro con la madre. Quindi le ho rimandato la discussione che avevamo fatto con il figlio, focalizzandomi sulla scelta che aveva fatto in nome del suo amore e che oggi tuttavia fa fatica a sentire.

La signora inizialmente ha reagito dicendo, “te l’ha detto lui? Sto bastardo!” esprimendo il fatto di essere stata scoperta. Era palesemente imbarazzata ed emozionata, con gli occhi pieni di lacrime. Ma non sapeva né cosa dire né cosa fare ed è rimasta immobile, guardando un po’ me e un po’ il figlio. Anche quest’ultimo era molto emozionato e felice per le cose che stavo dicendo, come se fossero proprio le parole che lui avrebbe voluto dirle. Con gli occhi pieni di gioia le si è avvicinato e finalmente i due si sono abbracciati. Era palese che la madre avesse difficoltà ad esprimere la propria affettività ed infatti anche questo abbraccio non è stato intenso, ma per lo meno è stato ricambiato, sbloccando in qualche modo la madre da una assenza totale di comportamenti affettuosi nei confronti del figlio. Continuo ribadendo il bisogno del figlio di sentire il suo affetto e la sua vicinanza e che questo potrà dargli la forza per affrontare tutte le novità che sta affrontando. Incoraggio pure Indrit a trovare lo spazio per parlare con mamma delle sue difficoltà e dei suoi bisogni, così come ha fatto oggi.

Da quell’incontro, Indrit sembra aver trovato serenità e voglia di voler dimostrare le proprie capacità, riscontrando anche valutazioni positive dalle insegnanti in alcuni compiti in classe. Sembra che il cambiamento affettivo da parte della madre abbia messo in moto la vitalità e l’impegno del figlio. Tra i due si percepiva una nuova complicità, che anche lui mi confermerà. Sia la madre che il figlio mi rimandano la loro gratitudine per averli aiutati ad affrontare questo cambiamento. Indrit in uno degli ultimi incontri mi espliciterà l’affetto nei mie confronti, che se da una parte rappresenta un feedback importantissimo sull’intervento effettuato, dall’altro dimostra che il ragazzo abbia acquisito nuove capacità di sentire e comunicare le proprie emozioni. Tuttavia l’arrivo della nonna prima della fine dei nostri incontri, ha messo in moto alcune dinamiche con la madre. Tale dinamica conflittuale ha coinvolto tutta la famiglia, riaccendendo la contrapposizione tra Albania e Italia, tra ciò che è peggio e ciò che è meglio per Indrit. Gli schieramenti che questa dinamica ha creato,lo hanno costretto a barcamenarsi tra la linea di confine delle due posizioni. La fine degli incontri tuttavia non mi ha permesso di osservarne gli sviluppi. Indrit mi ha comunicato che avrebbe parlato lui con la nonna per mediare il conflitto con la madre e per esplicitarle il suo benessere nel vivere a Roma con lei.

Altro obiettivo del mio intervento è stato quello di favorire l’integrazione con il gruppo dei pari e con il territorio. Da parte sua ho notato una certa difficoltà nel costruire nuove amicizie, accompagnate dal timore di non essere accettato e ricambiato nelle intenzioni. L’intervento in tal senso è stato anche ostacolato dalle preoccupazioni della madre in merito alle uscite con gli amici. La madre sembrava perseguire la logica del “se non esci non corri rischi”, a fronte di alcune esperienze del figlio maggiore con amici che facevano uso di cannabis. Inoltre Indrit sembrava voler passare più tempo possibile con la madre, a discapito del gruppo dei pari; non aveva nemmeno mai fatto un giro per la città, e non conosceva nulla di Roma, se non la scuola ed il suo piccolo quartiere. Questo probabilmente non ha stimolato la sua curiosità e l’appartenenza alla sua nuova città. In tal senso abbiamo visitato Villa Ada, suscitando meraviglia e curiosità. Si è cercato di ripetere l’esperienza proponendo il coinvolgimento del gruppo di amici della famiglia, considerata la vicinanza da casa.

Ultimo obiettivo è stato rappresentato dallo sviluppo delle sue competenze di scrittura e lettura. Ogni nostro incontro ha avuto un momento in cui Indrit si è dedicato alla scrittura e lettura della lingua italiana. Tale attività è stata condotta mediante l’uso del telefono e di internet. Sfruttando la sua motivazione, i suoi interessi, lo stimolavo ad effettuare ricerche su internet allenando le sue competenze grammaticali. Sfruttando la sua passione per i cani e per la professione di veterinario, abbiamo anche fatto un dettato che poi avrebbe letto a casa. Nonostante le criticità riscontrate, è positivo l’impegno del ragazzo nel volersi cimentare in un’attività che prevede delle difficoltà.

  • Marta: il mio mondo nella stanza

La situazione di Marta ci è stata segnalata dal Servizio Sociale del Municipio III, per un problema di dispersione scolastica. Al momento dell’ingresso nel progetto, Marta è iscritta alla classe II della scuola media inferiore; la sua frequenza è sempre stata discontinua, ma da circa due mesi ha smesso completamente di recarsi a scuola.

I genitori si sono separati quando Marta aveva 11 anni; attualmente la ragazza vive con la madre e il fratello diciannovenne, ma vede regolarmente anche il padre.

Si evidenzia fin da subito una significativa difficoltà da parte di entrambi i genitori a svolgere adeguatamente la loro funzione. Rispetto al problema della scuola appaiono entrambi piuttosto rassegnati all’idea che niente potrà cambiare e mostrano difficoltà ad esercitare una funzione adulta ed autorevole nei riguardi della figlia; inoltre, fanno fatica a rappresentarsi il disagio emotivo di Marta, fornendo una lettura dei comportamenti della ragazza come segno di menefreghismo (la madre) o come momento legato all’età che poi passerà con il tempo (il padre). Questa visione appare confermata dal questionario CBCL compilato dai genitori, in cui sembrano leggere i comportamenti di Marta come trasgressivi (per esempio il non andare a scuola), sottovalutando la difficoltà della ragazza di riuscire ad affrontare le difficoltà che la scuola comporta in termini relazionali e di prestazioni. I genitori sembrano mettere l’accento soprattutto sui problemi attentivi e su una sintomatologia di tipo Ansioso/depressivo, sottovalutando forse le difficoltà che portano Marta a ritirarsi dalle esperienze e dalla vita in genere.

Marta ha un fidanzato, conosciuto da poco, e una cerchia di amici, tra cui la sua inseparabile amica del cuore, con la quale trascorre gran parte del suo tempo. Esce di casa molto poco, vede gli amici quasi sempre a casa sua, che è diventata un po’ il ritrovo per la sua comitiva.

È stata, sin da piccola, un bambina schiva, timida e poco incline a frequentare contesti che implicassero attività di gruppo e relazioni sociali in genere. Come mi racconterà in seguito, da piccola per lei era una gran fatica partecipare a feste o eventi con altri bambini; d’estate, preferiva di gran lunga rimanere a casa dei suoi adorati nonni materni, dove si sentiva al sicuro, piuttosto che frequentare i campi estivi con gli altri bambini.

Proprio in virtù di questo, non ha mai frequentato la scuola molto volentieri. I contesti socializzanti e le situazioni prestazionali hanno sempre suscitato in lei stati di ansia e di imbarazzo sociale.

All’età di 11 anni circa, Marta subisce la perdita di entrambi i nonni materni, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro; questo evento accade quasi in concomitanza con la separazione dei genitori e segna un periodo molto difficile per la ragazza, la quale comincia a passare molto tempo dentro casa, rifiutandosi di svolgere quasi tutte le attività. Viene bocciata al primo anno di scuola media inferiore per elevato numero di assenze.

Attualmente, riferisce di un vero e proprio blocco nell’uscire di casa per recarsi a scuola, ma non sa spiegarsi il perché. E’ consapevole del fatto che le farebbe bene avere qualcuno con cui parlare. E’ molto provata a causa delle continue discussioni in famiglia per via del problema “scuola”

Circa mezz’ora prima dell’orario stabilito per il primo colloquio, riceviamo una telefonata della madre che, ricordando male l’orario dell’appuntamento, è preoccupata di non vederci ancora. Quello che ci arriva è un senso di urgenza, ma anche di confusa preoccupazione. Durante il colloquio, la mamma ci parla in maniera concitata e prolissa, manifestando preoccupazione, stanchezza e irritazione per i comportamenti di chiusura della figlia, per lei inspiegabili. Appare molto preoccupata di apparire ai nostri occhi come una madre coscienziosa e di allontanare da noi, ma soprattutto da se stessa, l’idea che la separazione tra lei e il marito abbia potuto costituire per la figlia motivo di tale malessere da portarla a rifiutare persino la scuola.

Di fronte a noi, dunque, da un lato la confusione, la fatica, l’emotività incontenibile della mamma, dall’altro lato, in contrapposizione, la calma serafica del padre, che, prendendo parola quando interpellato ci presenta una lettura della situazione piuttosto idealizzata e poco legata alla realtà: Marta è una ragazza con mille interessi, intelligente, è un’artista e questo è un momento legato all’adolescenza, forse legato a qualche indefinita sensazione di malessere, ma che passerà, così come è arrivato, senza troppe spiegazioni.

Al centro, tra questi due poli, siede Marta, una ragazzina esile, ben curata, con dei grandi occhioni, che facendo la spola tra il padre e la madre mentre loro parlano, ogni tanto ci scrutano, ma che per la maggior del tempo sono rivolti in basso o altrove. E’ quasi immobile sulla sedia, completamente rannicchiata in se stessa, in silenzio. Percepisco il suo disagio, la sua scomodità nello stare lì seduta suo malgrado, in mezzo ai suoi genitori e di fronte a due sconosciuti. Quando le propongo di recarci insieme in un’altra stanza per conoscerci un po’, annuisce immediatamente e, come sollevata, mi segue.

Nella stanza da sole, finalmente sento la sua voce, anzi si dimostra piuttosto disponibile al dialogo e sembra accettare volentieri la mia proposta di fissare degli incontri in cui vederci per conoscerci meglio. Mi racconta dei problemi che incontra nel frequentare la scuola; mi dice che lei vorrebbe andarci, ma c’è qualcosa che la blocca, a cui non sa ben dare una spiegazione. Mi dice di aver vissuto con difficoltà il divorzio dei genitori, a cui è seguito per lei un cambio di abitazione e anche di scuola. Si sente spesso ansiosa e ha bisogno di persone vicine che la tranquillizzino, cosa che non trova nei suoi familiari. E’ molto legata alla sua amica del cuore, la quale a volte ha anche cercato di aiutarla facendo un pezzo di strada con lei fino alla sua scuola, ma questa cosa ha funzionato solo a volte. Rispetto ai nostri futuri incontri, si manifesta contenta di poter parlare con me dei temi che la preoccupano.

Nonostante l’apertura iniziale, agganciare Marta e stabilire una relazione di fiducia non è stato per niente semplice. Questo è stato l’obiettivo preliminare dell’intervento, e ha richiesto diverso tempo e tanta pazienza. Se da un lato, verbalmente, si dimostrava disponibile a tutto ciò che le proponevo, accettando gli appuntamenti che le fissavo a casa sua o fuori, accettando di sottoporsi alla somministrazione dei test per la nostra ricerca, dall’altro lato agiva comportamenti di evitamento e fuga, che rivelavano chiusura e grossa difficoltà ad affrontare le situazioni nuove, ma anche ad esprimere eventuale contrarietà e disappunto. Marta semplicemente diceva di si a tutto e poi si negava, isolandosi completamente, rintanandosi in casa senza rispondere né al telefono, né tanto meno al citofono o al campanello. Le attese davanti al suo portone, nella fase iniziale dell’intervento, sono state tante, e hanno suscitato in me molti dubbi e un misto di stati d’animo tra dispiacere, irritazione, frustrazione, ma anche desiderio di andare fino in fondo, di trovare la chiave per aprire quello spiraglio che Marta pur mi aveva lasciato intravedere. Perciò non mi sono arresa, ho atteso con pazienza, trovando comunque ogni volta il modo di comunicarle che io ero lì, che la stavo aspettando, che accettavo anche i suoi rifiuti e le sue bugie; erano espressione di un forte malessere, ma questo malessere poteva essere accolto, guardato da vicino e nominato, insieme potevamo prendercene cura, era questo il messaggio che volevo farle arrivare. Nel tempo, evidentemente, Marta ha sentito di potersi man mano affidare e ha mostrato una sempre maggiore apertura.

Le prime volte che riusciamo a vederci, è spesso presente anche la sua amica del cuore, che si ferma con noi per parte del tempo. Parliamo dei temi che riguardano la scuola ma anche di altro. Mi fa conoscere alcune cose di sé, dei suoi gusti musicali, delle sue amicizie. La mia impressione è che ci sia una chiusura piuttosto accentuata che non riguarda solo la scuola, ma anche il resto delle esperienze.

Marta però mi dice che lei non ha problemi ad uscire, prendere l’autobus, per incontrare i suoi amici o per andare dal suo fidanzatino. Eppure la mia sensazione è che il suo mondo sia rinchiuso tutto nella sua stanza, tra le pareti piene di foto e post-it colorati, e la porta, completamente riempita dalle firme di tutti gli amici che sono passati a trovarla. Con la sua amica accanto si sente più serena, quando lei non c’è, è un po’ più a disagio. Rispetto alla scuola, mi racconta che ogni mattina tenta di andarci, ma poi non ci riesce; percepisce l’ambiente familiare come ansiogeno e questo non l’aiuta. Spesso la trovo seduta sul divano, con addosso una copertina a scacchi, che, come poi condivido anche con lei, sembra simboleggiare il suo momentaneo pensionamento dalla vita.

La nostra relazione procede, tra alti e bassi, tra momenti di maggiore apertura e vitalità e momenti di nuova chiusura e ripiegamento in se stessa, legati a grandi e piccoli eventi della vita quotidiana che hanno spesso un impatto molto forte su di lei e sulle variazioni del suo umore. È fragile, mi dà l’idea di un fuscello esposto alle intemperie della vita, la vita di un’adolescente che, oltre ai tumulti tipici di quest’età, ha dovuto affrontare, negli ultimi anni una serie di separazioni e di cambiamenti che le hanno probabilmente fatto perdere i suoi punti di riferimento, l’hanno resa insicura, timorosa di tutto, bisognosa di appoggiarsi sempre a qualcuno.

In mezzo a queste intemperie, nelle quali mi calo con lei, intraprendiamo un percorso graduale verso una maggior consapevolezza delle sue emozioni, dei suoi comportamenti e di quello che accade intorno a lei. Utilizziamo la nostra relazione come terreno privilegiato su cui riflettere in merito alle sue aspettative e ai suoi comportamenti nelle situazioni interpersonali. Pian piano cominciamo a dare un nome alle sensazioni spiacevoli che prova, prima molto indefinite, a collegarle agli eventi vissuti e a dare un senso alle sue reazioni, come il blocco nell’andare a scuola.

Rispetto al tema della dispersione scolastica, mi muovo su un terreno scivoloso, in un delicato equilibrio tra l’ascolto e l’accoglienza degli stati d’animo di Marta, la comprensione dell’origine di alcuni suoi atteggiamenti di rifiuto e, d’altro canto, il continuo riferimento a un dato di realtà: la scuola c’è, è l’unico collegamento con il mondo esterno ed è necessario farci i conti.

Parallelamente l’intervento si è rivolto anche ai genitori, in particolare alla madre, che è stata quella più partecipe. Dopo alcune resistenze iniziali, la madre ha accettato di partecipare al gruppo di sostegno psicologico per i genitori, che fa parte integrante del nostro progetto, traendone grande beneficio. Questo ha permesso a Marta di sentirsi meno sola nell’affrontare il problema e, soprattutto ha favorito un clima di minor tensione a casa, ma anzi di maggior vicinanza emotiva tra le due. Poter avere uno spazio proprio, in cui riflettere sugli stessi temi ma da prospettive diverse, ha aiutato madre e figlia, dapprima a riappropriarsi e a dare un senso ai propri personali vissuti, poi, a provare a considerare la prospettiva dell’altra, cogliendone maggiormente gli stati d’animo e le difficoltà.

Questo procedere separatamente ma nella stessa direzione e con un unico obiettivo, è stato fondamentale anche tra noi operatori, che ci occupavamo dello stesso problema da angolature diverse, chi con la ragazza, chi con i genitori. Lo scambio continuo tra tutti noi impegnati in un lavoro bello ma delicato e pieno di difficoltà, un lavoro che porta a metterci continuamente in discussione, a fare i conti con gli stati d’animo che una relazione con un ragazzo problematico suscita, è stato di fondamentale importanza. Il continuo sostegno dell’equipe di lavoro, è stato per me elemento imprescindibile nell’intero percorso; le riunioni d’equipe hanno costituito il contenitore all’interno del quale condividere pensieri e modalità operative, depositare dubbi e stati d’animo, per uscirne più arricchiti, rivitalizzati, pronti ad affrontare le nuove sfide che questo lavoro ci pone ogni giorno. Nei momenti di frustrante attesa davanti al suo portone, sapevo di non essere da sola, il gruppo di lavoro era con me e mi sosteneva, sapevo che c’era un luogo nel quale avrei potuto raccontare e condividere quello che stava accadendo, in cui nuove idee e strategie avrebbero preso forma, strumenti utilissimi da portare nella mia cassetta degli attrezzi per il lavoro di tutti i giorni.

Importantissima è stata anche la sinergia con i Servizi Sociali, con i quali eravamo costantemente in contatto, in un’ottica di scambio e confronto per raggiungere una sempre maggiore comunione di intenti nel perseguimento di un obbiettivo unico. Ciò che ha preso forma, nel procedere dell’intervento, è una mente unica che riflette su quel particolare caso, un pensiero comune, che va oltre la semplice somma delle singole idee.

Nel descrivere lo stato di cose raggiunto alla fine di questo breve intervento (sei mesi in totale), voglio partire dalle parole di Marta in uno degli ultimi incontri: “mi sono accorta che parlare con te mi ha fatto molto bene, mi ha aiutato ad aprirmi, è diverso da quando parlo con gli amici, perché gli amici ti dicono più o meno le stesse cose che pensi tu, invece è stato importante parlare con una persona con più esperienza che ti che dice anche dove stai sbagliando”. Questa sua frase mi ha fornito un feed-back importante sul raggiungimento di uno degli obiettivi che ci eravamo posti: quello di svolgere una funzione adulta che fosse allo stesso tempo accogliente, ma anche autorevole, che la aiutasse a capire ciò che provava, ma anche a fare i conti con la realtà.

Alla fine dell’intervento, Marta si mostra molto più consapevole delle sue emozioni, è in grado di nominarle, di parlare di ansia, imbarazzo sociale, tristezza, paura di lasciarsi andare. Soprattutto, sembra aver accettato l’idea che gli stati d’animo negativi possano essere vissuti senza sprofondare e che se ne possa anche parlare; ha imparato, inoltre, che si può anche dire di no all’altro senza per forza ferirlo. Uno dei risultati raggiunti nell’ultimo periodo dell’intervento, impensabile agli inizi, è stato quello di potermi dire apertamente, senza evitarmi o isolarsi, quando non si sentiva di vedermi o di parlare.

Nel corso di questi mesi, con l’aiuto della madre, si è iscritta ad una scuola privata per il recupero degli anni scolastici, che sta frequentando con sufficiente continuità. Ha preparato una tesina che dovrà presentare a breve agli esami di licenza media. Sta valutando seriamente l’idea di iscriversi, per il prossimo anno, alla scuola professionale per estetiste, essendo un ambito che le piace molto e per il quale si sente portata. Faticosamente cerca di esprimere maggiormente i suoi punti di vista e le sue esigenze, e di ritagliarsi i suoi spazi, in particolare rispetto alla sua amica del cuore, la cui presenza, da una parte rassicurante, diventa a volte invadente e quasi soffocante, avendola per tanto tempo subita passivamente.

In famiglia si respira un’aria di maggior serenità, la madre è meno preoccupata, le fa meno pressioni e, soprattutto, si dimostra maggiormente in grado di rappresentarsi la mente della figlia e di considerare i suoi stati d’animo. Marta dal canto suo, sentendo una maggiore apertura, è più disponibile a dialogare e a raccontare alla madre ciò che prova dentro di sé.

Permangono in ogni caso molte fragilità e, soprattutto una forte reattività agli eventi negativi, che la portano ancora a chiudersi in se stessa e a desiderare di isolarsi.

Proprio per questo motivo, il nostro intervento si è voluto porre come un ponte, che aprisse la possibilità a Marta di sperimentare i benefici su se stessa di uno spazio di ascolto e supporto, come premessa per intraprendere un percorso di psicoterapia da cui, a nostro parere, potrà trarre molto giovamento. Ha fortunatamente accettato la proposta di intraprendere una psicoterapia dopo la fine dell’ intervento.

  • Stella: Tutto è normale…

Il servizio materno infantile ci segnala Stella, una minore che compie 14 anni a settembre 2016, nata in Italia da madre italiana e padre tunisino.

Al momento della segnalazione, e durante i nostri primi incontri, la ragazza viveva con la mamma e i nonni materni. Il nonno ricoverato in ospedale, si aggrava velocemente fino alla sua scomparsa; questo crea ulteriore difficoltà emotiva alla ragazza che aveva un forte attaccamento nei suoi confronti in quanto sostituto della figura paterna assente.

Il padre della ragazza al quale è stata sospesa la potestà paterna vive in una città del sud Italia con un’altra donna, dalla quale ha avuto altri due figli e ne aspetta un terzo. La madre non nega a Stella di mantenere legami con il padre, ma quest’ultima per sua scelta non ne vuole avere, anche se ogni tanto contatta il fratello e la sorella.

Il motivo di separazione tra la madre e il padre di Stella è dovuto all’aggressività di quest’ultimo, con agiti violenti sulla donna, avvenuti in un caso in presenza della figlia, quando era molto piccola, motivo decisivo per la separazione.

Stella presenta un disturbo d’ansia con attacchi di panico, l’esordio di questi attacchi risale a circa un anno fa, quando la ragazza presentava anche episodi ripetuti di vomito, per i quali ha fatto anche accertamenti che non hanno riportato a nessun importante disturbo fisico.

Inoltre presenta difficoltà di apprendimento con importante deficit di memoria verbale e difficoltà nel calcolo.

Per via dei suoi attacchi di panico ha avuto molte difficoltà a partecipare agli impegni scolastici, e a seguire con continuità le lezioni a scuola, motivo per cui quest’anno sta ripetendo la seconda media, presentando comunque discontinuità. Le sue numerose assenze, la scarsa partecipazione alle lezioni e il suo comportamento non rispettoso delle regole, rischiano di farle ripetere nuovamente l’anno scolastico. Stella è convinta che siccome gli insegnanti non la sopportano la promuoveranno pur di farla uscire presto dalla scuola. I suoi insuccessi scolastici per lei non sono da attribuire a se stessa, ma da uno scarso interesse dei professori nei suoi confronti. Così come ritiene che i primi attacchi di ansia, con conseguenti attacchi di panico, siano in gran parte da attribuire proprio ai suoi professori, poiché la “innervosiscono in tutti i modi”. La madre sembra appoggiare in parte questo pensiero della figlia, dichiarando che i professori “l’hanno presa di mira, e cercano di metterla in difficoltà, e solo pochi di loro, cercano di capire i reali bisogni della figlia”; ritiene comunque che la figlia debba frequentare la scuola più assiduamente, impegnarsi maggiormente nello studio, perché altrimenti rischia di essere nuovamente bocciata. La descrizione della ragazza che emerge dalla CBCL compilata dalla madre e anche dallo YSR compilato da lei mostra un profilo piuttosto problematico. Alla CBCL emerge un profilo caratterizzato da valori clinici elevati nella scale Lamentele somatiche, Problemi sociali, Problemi del pensiero e problemi attentivi e Comportamento trasgressivo. Anche la descrizione della sintomatologia fornita dalla ragazza conferma questo quadro, soprattutto per quanto riguarda le Lamentele somatiche, i problemi del pensiero e i problemi attentivi. Stella però considera il suo comportamento più aggressivo che trasgressivo, indicando una certa frequenza di comportamenti che indicano una espressione non modulata di aggressività (urlare, aggredire, discutere in modo polemico, ecc.). A questo si aggiunge una percezione della propria salute come non buona e un forte grado di alessitimia (TAS-20=67). Il quadro sembra far riferimento ad un funzionamento piuttosto disregolato sul piano emotivo dove gli stati affettivi vengono in parte somatizzati e in parte espressi in maniera caotica e non modulata verso l’esterno. Per quanto riguarda la descrizione della propria personalità, possiamo ritenere che l’immagine che vuole dare di sé è quella di una persona dura, forte, aggressiva, che intrattiene rapporti di forza con gli altri. A fronte della sua difficoltà di esprimere i suoi stati d’animo e le sue emozioni (TAS-20 elevata),di alti punteggi di Impulsività nelle sindromi cliniche, insieme ad una tendenza a sperimentare affetti depressivi e disturbi alimentari, possiamo inquadrare i valori altamente significativi nelle scale appartenenti al gruppo delle Preoccupazioni manifeste, che indicano le difficoltà maggiormente percepite dall’adolescente. In questo caso la ragazza afferma che “spesso si sente nel pallone, come se fosse spaesata”, “si vede molto lontana da come vorrebbe essere” e che “le persone della sua età sembrano molto più sicure di quanto lei sia rispetto a ciò che essi sono e vogliono”. La disregolazione emotiva, che si manifesta anche nell’ansia e negli attacchi di panico, sembra un tratto caratteristico di questa adolescente che si accompagna ad una identità ancora incerta. La rappresentazione di sé è comunque piuttosto negativa.

La madre sembra essere una persona con dei sani principi, e con dei valori ben interiorizzati, ma deficitaria nel metterli in pratica nell’educazione della figlia. Madre e figlia sembrano molto unite, ma non appare esserci una relazione significativa, di sostegno e comunicativa con la figura genitoriale, molto spesso si può notare che i ruoli sono invertiti; è la figlia ad avere un ruolo genitoriale nei confronti della madre. Questa inversione dei ruoli, porta la madre ad assecondare i comportamenti scorretti della figlia, sia in ambito scolastico, che in quello relazionale con i pari, come nell’esternalizzazione delle emozioni.

I primi attacchi d’ansia sono emersi anche in concomitanza con la fine della relazione con il fidanzato di allora, al quale pensa ancora molto, e non ha elaborato ancora la fine di quella relazione.

Quando contattiamo la madre per il primo incontro, sembra da subito interessata alla nostra proposta, e come d’accordo lei e la figlia si presentano nel giorno e nell’orario stabilito.

Stella appena arriva è curiosa di sapere perché si trova li, sottolinea che lei non ha problemi, che va tutto bene e non ritiene di aver bisogno di nessun tipo di intervento. È una ragazza molto carina, sembra essere un po’ più grande della sua età, non è truccata in modo eccessivo, e veste in modo sobrio, ma comunque come tutte le ragazze della sua età.

Proviamo a spiegarle il nostro progetto, ma sembra non capire bene cosa le stiamo proponendo, e continua a ribadire che lei non ha nessun tipo di problema. Le chiediamo degli attacchi di panico, dell’ansia, di come e quando sono cominciati; lei chiede alla madre di rispondere, la quale comincia a parlare per lei, come spesso accade, ma noi insistiamo perché sia lei a raccontarci, e le facciamo notare che non è usuale avere quegli attacchi di panico e sarebbe stata meglio se fossimo riusciti a capire come affrontarli, superarli e quale potesse essere la causa. Stella sembra a quel punto più disposta verso di noi, affermando che si “forse è meglio non avere più quegli attacchi”, ma non le è chiaro come possiamo aiutarla.

Il punto su cui è stato possibile costruire una relazione è stato dato da una mia condivisione con lei nell’ammettere che è capitato anche a me di avere avuto dei momenti dove l’ansia prendesse il sopravvento, e di come li ho affrontati; questa mia “confessione” ha portato a prendere un accordo per il primo appuntamento.

Al primo appuntamento Stella mi aspettava a casa, come d’accordo, la sorpresa è stata trovarla in compagnia di una sua amica, che durante il nostro primo colloquio la madre aveva nominato in quanto non gradiva frequentasse la figlia. Mi rendo conto che invece la ragazza ci teneva a farmela conoscere, e ho accettato la sua presenza senza darle troppo peso, e questo mi ha permesso di entrare in relazione con Stella e aprire la strada per i prossimi incontri.

Durante i primi incontri ho cercato di instaurare una buona relazione, che fosse soprattutto empatica, poco invasiva. La prima sensazione che ho su di lei, e che con i successivi incontri si conferma, è di una ragazza che ha paura di far emergere le proprie emozioni e i propri sentimenti, sembra molto spesso volersi mostrare forte, soprattutto di fronte alla madre, a discapito di ciò che realmente prova. Inoltre sembra essersi creata anche un’immagine ben precisa con i suoi pari, di una ragazza forte, che deve essere “temuta”, alla quale tutti devono dare ascolto, e che non ha momenti di fragilità; ma tutto questo è un’immagine con una forte paura di affrontare realmente i propri sentimenti e le proprie emozioni. In questo la figura materna sembra non incentivare la comunicazione delle emozioni della figlia, non approfondisce mai con lei quali siano le sensazioni che sente in determinati episodi rilevanti della vita.

La ragazza mostra comunque buone risorse sociali, passeggiando per il quartiere saluta molte persone, e una volta arrivate nei luoghi frequentati principalmente dai suoi pari mostra di avere molte conoscenze e diverse amicizie. In alcuni momenti il suo approccio con gli altri ragazzi/e tende ad essere autoritaria con chi apparentemente sembra essere più debole. La sensazione che ho è quella che lei ha voglia di dimostrarmi qualcosa, di mettere in chiaro anche con me, che lei non è una persona debole e non ha bisogno dell’aiuto di nessuno. La mia risposta a questo suo comportamento è diretta, le faccio notare che più si cerca di dimostrare qualcosa, e più probabilmente si è l’opposto di quello che appare, che il suo atteggiamento non la porterà lontano, ma anzi il suo nascondersi dietro una maschera non le farà capire quale è la reale immagine di se stessa.

Dopo i primi incontri iniziali, dove abbiamo creato una buona relazione, uno dei temi che abbiamo dovuto affrontare è stata la perdita del nonno, avvenuta proprio all’inizio della nostra relazione. L’argomento ha portato ad affrontare diversi temi, tra cui la morte, l’abbandono, il senso di colpa, e la figura paterna. È stato difficile per lei affrontare queste tematiche, si è partiti ogni volta con una sua chiusura, per poi, con un po’ di insistenza da parte mia, riuscire a parlarne. Parliamo della morte, il nonno è stato per lei la prima persona cara ad andarsene, vuole sapere cosa si prova quando si sta per morire e cosa succede dopo; si fa tantissime domande su questo argomento, al quale proviamo insieme a dare delle risposte, ma mantenendo un atteggiamento emotivo freddo. Atteggiamento che si modificherà verso la fine dei nostri incontri, dove comincerà ad affrontare realmente la perdita del nonno, esteriorizzando le emozioni e affrontandole, senza ripetermi più alla domanda: Come stai ? – Normale!.

La figura del nonno per la ragazza era molto importante, poiché ha sostituito per tutti questi anni la figura paterna assente. La sua assenza ha portato la ragazza ad avere difficoltà nell’addormentarsi, e una forte preoccupazione nei riguardi della nonna, poiché la vede fragile, e inoltre ha paura che possa morire anche lei; per questo motivo dorme insieme a lei.

Stella all’inizio non ha mai nominato il padre, solo la sua presenza al funerale di quest’ultimo, le ha permesso di affrontare l’argomento. La ragazza sembra provare poche emozioni verso di lui, sembra aver accettato la sua assenza, e la sua nuova famiglia. Vuole bene al fratello e alla sorella, che però non vede mai, e sente solo poche volte telefonicamente, anche perché si trovano in due città diverse. Tutto ciò che Stella racconta di suo padre, chiamandolo per nome e non “papà”, sembra un racconto un po’ impostato, come qualcosa che ormai ha imparato negli anni, come se le parole non fossero le sue. Questa apparente sensazione, mi viene confermata, nel momento in cui sento la madre parlare del suo ex marito, di una relazione fatta di violenza e terminata per difendere la figlia, ancora molto piccola. Neanche il rivederlo dopo molti anni sembra averle fatto provare qualcosa, anche se verso la fine dei nostri incontri dice di provare un “po’ di rabbia” verso di lui, soprattutto perché aspetta un altro figlio, “senza occuparsi dei figli che ha già”.

Nei confronti del nonno si sente in colpa, perché non ha avuto la costanza e la voglia di andare a trovarlo in ospedale, il periodo in cui è stato ricoverato, convinta che sarebbe guarito, così da aver perso del tempo da passare con lui, e con la paura che se ne sia andato pensando che lei non gli volesse bene. Questo suo pensiero è stato difficile da affrontare, ma alla fine, parlandone sembra aver convinta di non avere colpe, e che in tutti questi anni comunque ha dimostrato il suo bene al nonno.

L’argomento principale, e anche il motivo per cui ci è stata segnalata, sono stati i suoi attacchi di ansia e di panico. Abbiamo parlato di cosa ha provato la prima volta che le è successo, dove si trovava, in compagnia di chi era, e quale secondo lei potesse essere stata la causa. Mi racconta che la prima volta, non è stato molto forte, che si trovava insieme al suo ex ragazzo, stavano discutendo, ed erano ad una festa del quartiere, mi dice che le è mancato il respiro e il cuore le batteva forte; ma il più brutto di tutti è stato il secondo attacco di panico, in cui è stata necessaria la chiamata dell’ambulanza con l’intervento dei medici, perché aveva perso conoscenza. Dopo questi primi due episodi, per molto tempo ce ne sono stati degli altri, portandola ad avere paura degli spazi chiusi e ad avere difficoltà nell’allontanarsi dalle figure familiari.

Lei sostiene che la causa principale del suo disturbo, sia da attribuire a situazioni di stress che la portano ad innervosirsi in modo eccessivo fino a sfociare in attacchi di panico. La causa maggiore di stress, secondo la ragazza, deriva dall’ambiente scolastico, il quale le fa troppe richieste a cui lei non sa rispondere in modo adeguato; e successivamente al suo periodo di maggiore difficoltà, con l’insorgenza del disturbo, non si è sentita compresa dal corpo insegnante e dal resto dell’ambiente scolastico.

Questo suo pensiero l’ha portata ad assentarsi anche nell’anno scolastico corrente, mettendo a rischio la sua promozione, inoltre ogni volta che riesce ad andare a scuola, segue in maniera discontinua le lezioni, e telefona ogni volta alla madre per farsi venire a prendere, prima della fine dell’orario scolastico. Mi dice che lo fa perché è troppo forte la mancanza della mamma, e costituisce un’altra causa dei suoi attacchi d’ansia; anche in questo la madre sembra assecondare il pensiero della figlia, senza provare ad ascoltare i suggerimenti del corpo insegnante che consigliano di rassicurarla e solo successivamente ad andare a prendere la ragazza in caso non si tranquillizzi. La madre con questo atteggiamento avvalora il pensiero della figlia che vede il corpo insegnante, avere un atteggiamento persecutorio e di mancanza di fiducia nelle sue potenzialità.

Durante i nostri incontri, il lavoro è stato quello, di far ricredere la ragazza nelle sue potenzialità, di aumentare la sua stima e farle comprendere che non vi era nessun atto persecutorio degli insegnanti nei suoi confronti, e che avrebbe potuto impegnarsi di più per riottenere la loro fiducia nelle sue attitudini scolastiche. Con fatica, verso la fine dell’anno scolastico Stella, è andata più frequentemente a scuola, rimanendo in alcuni casi fino al termine dell’orario scolastico, e riportando anche buoni risultati in alcune materie oggetto di verifica.

Oltre ad eventi stressanti esterni abbiamo provato a capire quale fosse la causa interna principale della sua ansia, e come poter gestire l’insorgere degli attacchi senza farli sfociare in atteggiamenti estremi. Una delle prime soluzioni intraprese dalla minore è stato quello di provare a sfogarsi con atti violenti nei confronti di oggetti.

Successivamente è emerso che l’incapacità, evidente fin dall’inizio, di esprimere le proprie emozioni e i propri sentimenti interni è uno dei fattori del suo disagio, dal momento che tutti i pensieri, le emozioni, i sentimenti si affollano dentro di lei, e prendono il sopravvento facendole perdere il controllo di se stessa. Abbiamo lavorato molto su questo aspetto, anche se all’inizio lei ha negato questa sua difficoltà, ha accettato però successivamente di dare un nome ai sentimenti provati in determinati eventi della sua vita; rendendosi conto di sentirsi più “leggera”. Stella ha dimostrato che la maschera che in alcuni momenti indossa, non rispecchia il suo vero essere, e che in realtà quello di cui ha bisogno è qualcuno con cui parlare e aprirsi e che accetti anche le sue fragilità.

A sostegno della mia idea sulle sue potenzialità, è stato l’incontro che lei ha fatto con la mia collega durante la somministrazione dei test, dove ha dimostrato di essere molto attenta, curiosa, concentrata e scrupolosa nella loro compilazione.

Parallelamente l’intervento doveva essere rivolto anche alla madre, la quale non ha mai partecipato ai gruppi di sostegno psicologico per i genitori, previsti nel nostro progetto.

Alla fine del breve intervento (tre mesi circa), si è creato una buona relazione di fiducia con la ragazza, che ha permesso di intraprendere un cammino meno spaventato dalle difficoltà epiù fiducioso nelle proprie risorse.

Il nostro rapporto, ha avuto anche un momento di difficoltà, e di sfida da parte di lei nei miei confronti, quasi a volermi mettere alla prova, e visti gli incontri successivi, credo sia stato molto positivo nella nostra relazione, creando ancora più fiducia nei miei riguardi.

Stella durante i nostri incontri, fatta eccezione per il primo, sembra essersi voluta ritagliare proprio un momento per se stessa, dove anche nelle poche occasioni in cui è stata presente la madre, ha voluto che non si intromettesse tra di noi, tranne una volta, relativamente alla difficoltà nel raccontarmi un episodio accaduto.

Nel corso di questi mesi Stella si è impegnata molto, ha raggiunto una maggiore consapevolezza di se stessa, e delle sue difficoltà. A livello scolastico ha ottenuto dei buoni risultati, è tornata a scuola con maggiore frequenza, ha partecipato alle lezioni, ed ha studiato per affrontare interrogazioni e compiti in classe. Ha provato a rimanere a scuola fino al termine dell’orario scolastico, arrivando alla consapevolezza, che il suo bisogno di chiamare la madre per farsi venire a prendere è dovuto principalmente a mancanza di interesse per alcune materie scolastiche, e anche ad una sua preoccupazione nei riguardi della madre.

Inoltre ha rivalutato il ruolo di alcuni insegnanti e l’atteggiamento da avere nei loro confronti.

L’aspetto relazionale con i pari, e la socializzazione, sono stati sempre abbastanza buoni, anche se negli ultimi mesi, in lei è nata la consapevolezza, che non occorre essere autoritarie ed aggressive per farsi rispettare, ma semplicemente se stessi.

Il rapporto con il padre rimane sempre deficitario, e non riesce ad affrontarlo a pieno, e spesso continua a nascondersi dietro le parole della madre.

Il punto principale da affrontare era capire da cosa nascesse la sua ansia e cosa provocasse i suoi attacchi di panico. Nel percorso che abbiamo intrapreso è emerso che la causa principale è da attribuire ad un’incapacità della ragazza di esprimere le proprie emozioni; una volontà di apparire agli altri forte e mai fragile, e tutelare in qualche modo la madre nel non farla preoccupare. Questo però porta Stella ad essere un “vaso pieno di sentimenti che si affollano uno sull’altro, che non hanno un ordine ben preciso”, e che in alcuni momenti, fattori, a volte anche futili, dall’esterno causano “l’esplosione”. Il lavoro che abbiamo provato a fare insieme è stato quello di affrontare alcuni episodi che le sono accaduti, e provare a dare un nome ai sentimenti che le suscitavano i loro ricordi; questo ha portato la ragazza ad affrontare ad esempio la morte del nonno, evento che aveva sopportato scindendo qualsiasi aspetto emotivo.

Se anche la mamma riuscisse ad intraprendere un percorso parallelo a quello della figlia, ciò permetterebbe a quest’ultima di sentirsi meno sola, e avrebbe l’esempio da seguire, che in questo momento le manca, per affrontare ed arrivare al termine dei suoi obiettivi.

  • Ivan: alla ricerca di un nuovo inizio

Conosco Ivan qualche mese prima del compimento del suo diciottesimo compleanno, questo caso ci è stato segnalato oltre che per un problema di dispersione scolastica, anche per una situazione familiare caratterizzata da alti livelli di conflittualità che in alcune circostanze avevano necessitato l’intervento del 118.

Il ragazzo ha una storia di adozione avvenuta quando aveva otto anni, i genitori hanno un livello socioculturale ed economico medio alto, il padre ha un impiego di responsabilità e la madre è casalinga; la famiglia allargata è solida con uno zio molto presente nella vita del ragazzo, assieme a nonni e cugini vari con cui lo stesso ha un legame significativo.

Quello che ci viene raccontato dai genitori, è che fino ai primi anni delle superiori, è stato un ragazzo modello, poi sembra abbia conosciuto un gruppo di amici sbagliati da qui inizia l’uso di sostanze e con esso i primi agiti, sempre verso i genitori cui seguirà un iter di medicalizzazione dello stesso con la presa in carico da parte del servizio territoriale di neuropsichiatria infantile,uno psichiatra privato, con annessa terapia farmacologica, ed una psicoterapia bisettimanale.

Quello che ci viene raccontato da Ivan è che neanche lui capisce bene cosa gli accada quando ‘’salta’’ ma quello che sa descriverci molto bene è che spesso viene preso da una profonda tristezza che sfocia nel pianto disperato ma che poi passa.

Nella valutazione effettuata, la descrizione offerta dal padre (CBCL) indica una sintomatologia diffusa che si manifesta soprattutto nell’area esternalizzante (Comportamenti trasgressivi e Comportamenti aggressivi sopra-soglia). A queste si aggiungono anche valori elevati e clinicamente significativi nell’area dell’Ansia/depressione, nelle Lamentele somatiche, nei Problemi sociali, in quelli di Pensiero e Attentivi. Dal quadro generale sia sul versante esternalizzante che su quello internalizzante la sintomatologia risulta estremamente florida (punteggi esageratamente elevati).

Quando invece è lo stesso ragazzo a descrivere i suoi comportamenti (YSR, TAS-20 e il SF-36) la situazione si mostra differente. Fondamentalmente Ivan sembra riconoscere di avere significativi Comportamenti trasgressivi e in parte Problemi aggressivi e attentivi (ma questi ultimi sono nel range “sottosoglia”), mentre non si riconosce in alcun comportamento problematico di altri tipo descritto dal padre. E’ tuttavia possibile che il ragazzo abbia difficoltà a individuare una serie di aspetti sintomatici più internalizzanti dal momento che anche il suo livello di alessitimia è abbastanza alto (TAS-20 = 51 – condizione sottosoglia), ma anche questo non clinicamente rilevante. Dello YSR colpiscono alcuni item in cui il ragazzo riconosce come spesso vere le seguenti espressioni: “Mi sento solo”, “Mi sento confuso o con la testa nel pallone”, “Sono nervoso o teso” oltre a tutti i comportamenti più dichiaratamente trasgressivi. Anche dallo SF-36 emerge la sensazione che non percepisca in maniera chiara e positiva la sua salute.

Talvolta appare come un bambino spaventato che prova “maldestramente” a fare l’adulto, le sue narrazioni sono al limite del verosimile, proprio come quelle storie fantasiose che a volte i bambini raccontano e si raccontano per impressionare gli amichetti o per impressionarsi; ma in questo microcosmo di finzione e realtà in cui grazie al gruppo di lavoro sono riuscito a tenere la rotta, una cosa era chiara nella mente di Ivan, ovvero al compimento della maggiore età sarebbe andato via di casa.

Il tempo di lavoro diretto con lui è stato breve ma produttivo forse per la prima volta ha fatto l’esperienza di poter stare in una relazione con un adulto che lo riconoscesse per quello che era, i racconti fantastici non sono più serviti e con essi tutti gli agiti che lo caratterizzavano, ed ha ripreso ad andare a scuola.

Pochi giorni dopo il compimento dei diciotto anni ha deciso, contro il parere dei genitori adottivi, di andare via di casa trasferendosi a casa di un gruppo di amici.

Tramite il padre ha trovato un impiego come magazziniere che sta portando avanti diligentemente, ha lasciato la scuola definitivamente.

Nel suo iter di cambiamento ha deciso di voltare pagina rispetto alla sua storia di patologia ha sospeso tutti gli interventi terapeutici/riabilitativi che gli avevano fatto intraprendere sospendendo anche le terapie farmacologiche.

Con essi si e chiuso anche il nostro rapporto.

Ci viene riferito da una persona che lo frequenta e che ha le competenze per farlo, che Ivan è tranquillo e sereno, lavora, si e trasferito a casa dello zio, dove vive con la famiglia di quest’ultimo va in palestra e frequenta gli amici oltre ai suoi genitori che va regolarmente a trovare.

Concludendo potremmo dire che ha avviato il suo processo di crescita che passa attraverso una ricostruzione a partire da se stesso.

  • Lara: la porta socchiusa

Lara è figlia unica di genitori separati. Vive con la madre e vede il padre nel fine settimana, all’incirca ogni 15 giorni. E’ seguita dal servizio Materno Infantile della ASL RMA. Dopo le scuole medie si è iscritta ad un Istituto Professionale. La sua frequenza a scuola è stata sempre un po’ discontinua, finché, nella primavera del secondo anno, ha completamente abbandonato. Dal racconto di Lara e dei genitori, l’abbandono scolastico è avvenuto in seguito a una crisi di panico avuta durante uno stage. Attualmente, Lara non frequenta più la scuola e non esce quasi mai di casa. In passato, ha frequentato un corso professionale e ha fatto un’esperienza di prova lavorativa durata però solo un giorno perché Lara ha rifiutato di ritornarci, ritenendo il lavoro troppo pesante fisicamente.

Ha poche amiche, in particolare due che vivono a Roma, con le quali si vede sporadicamente, e una, la più intima, che vive al paese di origine del padre di Lara. Gli unici spostamenti che Lara effettua, a volte col padre, a volte da sola con il pullman, sono proprio verso questo paese delle Marche, luogo in cui Lara racconta di trovarsi bene e a suo agio, in compagnia della sua amica e della famiglia di lei. Per il resto, Lara intrattiene molte conversazioni virtuali con ragazzi e ragazze conosciuti via chat, che, a parte uno, non ha mai incontrato di persona.

La storia clinica di Lara, così come riferitoci dai genitori, inizia all’età di 2 anni, periodo in cui la bambina comincia a manifestare una forma di “mutismo selettivo” per il quale viene seguita dal Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile. Da allora, per tutta la crescita, Lara ha manifestato sempre diversi problemi che hanno richiesto attenzione clinica. Ha effettuato anche una psicoterapia per circa due anni. Attualmente, da quanto riferito dai genitori e dal servizio di cura, Lara manifesta chiusura relazionale, sbalzi di umore, rifiuto di uscire di casa e di svolgere qualsiasi attività, scoppi d’ira con aggressività, in particolare verso la madre.

Lara sembra avere una scarsa consapevolezza delle sue difficoltà e perciò rifiuta rabbiosamente tutti i tentativi di cura, fatta eccezione per la terapia psicofarmacologica. L’unico problema che si riconosce è quello di avere delle crisi d’ansia quando si trova all’aperto o, comunque, in mezzo ad altre persone, ma è sfiduciata rispetto all’idea che queste crisi possano essere trattate.

Per il resto, non vive come un problema il fatto di stare sempre in casa e di non andare a scuola. Ha una visione idealizzata e poco aderente alla realtà rispetto al suo prossimo futuro; vorrebbe cercare una lavoro per avere più soldi a disposizione, immaginando che, avendo una motivazione, riuscirà a modificare immediatamente i suoi ritmi di vita per sostenere un impegno lavorativo; inoltre, dice di volersi trasferire nelle Marche e vivere lì da sola presso la casa paterna, perché la vita lì le piace molto più di quella di Roma.

Il nostro intervento si inserisce come supporto al progetto che il servizio territoriale di cura ha proposto: l’inserimento in una Comunità Terapeutica.

Pur consapevoli della complessità della situazione e della brevità del nostro intervento, ci poniamo, in accordo con il servizio di cura, alcuni obiettivi molto specifici, legati all’accompagnare Lara in questa delicata fase, cercando di rendere meno traumatico possibile l’eventuale inserimento in una struttura specifica per il trattamento del suo disturbo. Per arrivare a questo, sappiamo che il primo obiettivo da porci è quello di creare una relazione di fiducia con la ragazza, per poi cercare di renderla sempre più consapevole delle sue problematiche e del bisogno di essere aiutata.

A causa della grave chiusura della ragazza, non è stato possibile somministrarle i questionari. Anche se le è stato più volte proposto, si è sempre rifiutata di compilarli. I dati che è stato possibile raccogliere, dunque, sono relativi al protocollo CBCL compilato dalla madre durante il primo colloquio.

I dati sono stati elaborati da Anna Maria Speranza, professore associato di Psicopatologia dello Sviluppo presso l’Università “La Sapienza” di Roma, di cui si riporta la relazione:

Il quadro clinico descritto attraverso la CBCL dalla madre indica una situazione piuttosto critica in cui soprattutto la dimensione internalizzante è in primo piano. Sono infatti clinicamente significative tutte le scale internalizzanti (Ansia/depressione, Ritiro/depressione e Lamentele somatiche), ma in parte anche quelle esternalizzanti (Comportamento trasgressivo e aggressivo). La diagnosi di Disturbo di Personalità borderline fatta dai Servizi racchiude in sé l’insieme di questi comportamenti sintomatici.

All’appuntamento per il primo incontro conoscitivo con me e il responsabile del progetto, si presentano soltanto i genitori, dicendoci che Lara si è rifiutata di venire. La ragazza dice loro di rifiutare l’intervento ma di essere rassegnata sul fatto che comunque il tutor andrà a prima o poi a casa sua. Capisco presto che non sarà facile riuscire ad instaurare un rapporto con lei e che ci vorrà molta pazienza e perseveranza. I genitori ci raccontano le problematiche attuali e la storia clinica della ragazza. La mamma appare piuttosto preoccupata, ci racconta in maniera concitata tutte le difficoltà che vive quotidianamente con la ragazza e ci riporta tutti i suoi dubbi sul futuro di Lara. Cogliamo il senso di affaticamento e di incertezza di questa madre, ma anche una certa difficoltà ad affidarsi, una sensazione di non poter essere aiutata, una sorta di rassegnazione all’idea che la situazione sia immodificabile. Il padre è molto più silenzioso, ma ugualmente partecipe e consapevole della situazione difficile della figlia. Entrambi sarebbero d’accordo con l’eventuale inserimento della ragazza in Comunità, anche se manifestano preoccupazione riguardo alla scelta della struttura più adatta per lei. Riflettiamo con loro sull’opportunità di riprovare nuovamente a far venire Lara ad un prossimo appuntamento, spiegandole di che si tratta e lasciandole anche la libertà di poter dire di no, ma personalmente. Purtroppo Lara si rifiuta categoricamente di uscire di casa anche il giorno del successivo appuntamento. A quel punto, siamo di fronte ad una scelta: rinunciare a seguire questo caso, perché probabilmente troppo grave per i parametri del nostro progetto, oppure tentare fino in fondo, spingendoci al di là della solita prassi. Non abbiamo dubbi, sentiamo di dover fare un tentativo; così, usciamo dalla stanza e ci dirigiamo verso casa di Lara. Ci accolgono la mamma e il papà, con aria sollevata e allo stesso sorpresa, mentre la ragazza è rintanata nella sua camera e non ha intenzione di uscire, neanche dopo svariati inviti da parte della madre. Sentiamo di voler comunque rispondere alla richiesta di aiuto di questi genitori e, a suo modo, della ragazza, e così decidiamo consapevolmente di effettuare una piccola forzatura. Così, mi faccio accompagnare dalla madre verso la camera di Lara. La porta è chiusa, non ha intenzione di aprire, dunque le parlo da dietro la sua porta, finché non mi permette di aprire solo uno spiraglio attraverso il quale può sentire meglio la mia voce. Mi presento e le espongo il motivo della mia presenza lì. Lei rimane a letto, completamente al buio. Non riusciamo, dunque, a vederci in viso. Non mi risponde mai direttamente, ma ogni tanto chiama la madre chiedendole di farmi andare via. Le mie sensazioni sono molteplici. Da un lato avverto un senso di impotenza e di disagio, mi sento di troppo, una figura invadente e scomoda che sta violando i confini che ha posto con l’ambiente esterno. Dall’altro lato, il buio che intravedo dalla porta socchiusa, la sua voce che chiede solitudine, mi fanno sentire tutto il disagio di Lara, la sua chiusura verso il mondo; cerco di immedesimarmi e immagino quanta sofferenza ci possa essere in una ragazzina di 16 anni che ha deciso di ritirarsi dalla vita, perché al momento la sente troppo pesante. Decido così di non demordere, intravedendo, dietro quella fessura, una richiesta d’aiuto, seppure inconsapevole.

Saluto Lara, dandole comunque appuntamento per la settimana dopo alla stessa ora. Io ci sarò, e sarò pronta, se necessario, a stare insieme a lei nella sua realtà, anche se fatta di buio e di silenzio, per sentire cosa si prova.

Contrariamente a quanto mi sarei aspettata, nell’incontro successivo, trovo Lara seduta in cucina. La madre me la presenta e, poi, su mio invito, ci lascia sole. Questa volta siamo io e lei insieme al di là di una porta chiusa. Lara ha lo sguardo basso e non parla, ma ogni tanto mi scruta con i suoi grandi occhi. Per buona parte del nostro incontro sono solo io a parlare, ma so che lei mi sta ascoltando e questo, per ora, mi basta. Dopo poco tempo, infatti, riusciamo ad incontrarci su un terreno condiviso: il suo programma televisivo preferito. Da quel momento, il rapporto tra noi comincia a stringersi, lei appare sempre più disponibile al dialogo, anche se non mancano le difficoltà. Uno dei primi ostacoli che incontro nel perseguimento dell’obiettivo, è la totale mancanza di consapevolezza in Lara di quelli che sono i suoi problemi. Si è rifugiata non solo tra le mura della sua casa, ma anche in una visione tutta sua, poco aderente all’esame di realtà. Nello scenario che si è costruita, probabilmente come difesa da una realtà dolorosa, lei sta bene, la sua vita le piace così, non esce di casa solo perché non ha motivazioni per farlo, non avrebbe problemi ad intraprendere un lavoro anche il giorno dopo, anzi, impiega diverso tempo a cercare in rete offerte d’impiego come baby-sitter o come pizzaiola, salvo poi avere difficoltà anche solo ad effettuare le telefonate per proporre una sua candidatura. Mi porta in questa realtà immaginata ed io, inizialmente, ci entro con lei, così come mi soffermo insieme a lei, nella sua stanza, vicino al suo letto, quelle volte in cui la trovo giù di umore e senza energia per poter fare nulla, neanche parlare. Vivere insieme a lei tutte le oscillazioni del suo umore, accompagnarla, per un pezzettino, sull’altalena dei suoi stati d’animo, mi ha permesso pian piano anche di evidenziarglieli, di farglieli vedere attraverso un occhio esterno e, come davanti ad uno specchio, gradualmente Lara si è concessa di guardare più da vicino le sue difficoltà, invece di negarle e allontanarle da sé.

Tutto questo è avvenuto a piccoli passi, mantenendoci sempre su un equilibrio molto delicato. Ogni volta che toccavo qualche tema “caldo”, vedevo che lei mi ascoltava in silenzio, a volte anche irritandosi e togliendomi per un po’ la parola. In diverse occasioni successive, però, mi dava modo di constatare che qualche seme aveva attecchito; con modalità del tutto personali e quasi mai esplicite, infatti, Lara mi dava dei segnali di apertura attraverso i quali, a suo modo, mi parlava delle sue difficoltà, come quando mi ha proposto di leggere insieme la rubrica psicologica di un settimanale, scegliendo solo le lettere scritte da ragazzi e ragazze all’incirca della sua età, o come quando, nel corso di una conversazione, ha paragonato lo stile delle sue giornate a quelle della nonna molto anziana e con problemi di salute.

L’obiettivo che ci siamo posti è stato quasi pienamente raggiunto. Con mia stessa sorpresa, infatti, in uno dei nostri incontri, avvenuti dopo circa un paio di mesi dall’inizio di questo breve intervento (in tutto tre mesi circa), Lara mi comunica di aver preso la decisione di entrare in Comunità, perché sente il bisogno di essere aiutata a socializzare con altri ragazzi della sua età e di riuscire a condurre uno stile di vita diverso da quello attuale. In questi mesi, ho osservato Lara diventare gradualmente più disponibile a parlare di sé, a fare maggiormente i conti con la realtà, accettando anche la possibilità di fidarsi e di chiedere aiuto. Seppur con tentativi un po’ maldestri, come ad esempio una dieta “fai da te”, ha cominciato a prendersi maggiormente cura di sé, curando di più l’alimentazione, l’igiene del sonno, l’attività fisica, dimostrando, soprattutto, una maggior fiducia nell’idea di poter modificare lo stato di immobilismo in cui ha vissuto negli ultimi tempi.

Nonostante sia comprensibilmente preoccupata e spaventata per questo importante passo, Lara è fiduciosa verso l’idea di poter trarre beneficio dall’ingresso in Comunità e prova già ad immaginare come sarà la vita lì, le cose che potrà imparare e gli amici che potrà incontrare.

  • Cariche dello stesso segno si respingono

Attraverso il CSM veniamo a sapere delle difficoltà incontrate da una coppia di genitori con il proprio figlio. Il Servizio segue il padre attraverso attività laboratoriali. Marco ha appena compiuto 14 anni e frequenta la terza media. È il secondo figlio di due, ma è arrivato dopo 22 anni dal primo, che è ormai sposato. Il padre lavora presso una società di telecomunicazioni e la madre è un’impiegata. I genitori lamentano un atteggiamento oppositivo sin dall’età di 6 anni, che è diventato particolarmente problematico negli anni successivi. Sono preoccupati dell’atteggiamento provocatorio che crea difficoltà relazionali sia in casa che a scuola. I due inoltre, hanno scoperto sul cellulare di Marco alcune conversazioni riguardanti l’uso di marijuana durante alcune uscite, allarmandoli sempre più.

Quando contattiamo la famiglia per un primo colloquio, riscontriamo immediatamente le difficoltà dei genitori. Entrambi esprimono la loro insicurezza circa la capacità di portare il figlio all’incontro. Tale insicurezza è confermata anche dalla psichiatra del padre, la quale consiglia di organizzare l’incontro per il minore facendolo sembrare “casuale”, o comunque non diretto a lui, per evitare che il ragazzo si opponga e non si presenti. Decidiamo di incontrare i genitori, anche senza il ragazzo, per capire meglio la situazione e prepararli al dialogo con il figlio. Nonostante le indicazioni fornite, Marco si è opposto a venire all’incontro. Tuttavia, un secondo incontro coi genitori sarà determinante per coinvolgere il figlio a venire.

Quando si presentano al nostro primo incontro, i genitori sembrano preoccupati per la tenuta del figlio. Marco si presenta con il volto serioso, alternando brevi occhiate ad uno sguardo basso. Sembra diffidente, è lì solo perché costretto o per far contenti i suoi. È alto, snello, atletico e con il viso da ragazzino. Alla fine della presentazione delle principali attività del progetto, Marco non nasconde la sua contrarietà al progetto, mostrandoci tra l’altro una certa svalutazione dello stesso, dicendoci “che palle!”. Lo invitiamo a prendersi del tempo per decidere, sperimentando prima una nostra possibile relazione. A questa possibilità tuttavia Marco non rimanda alcuna opposizione.

Le mie fantasie sulla sua problematicità sembravano comunque ridimensionarsi. Invece cresceva la curiosità di conoscerlo e di cercare un gancio per avvicinarmi. La sua passione per il tennis mi ha aiutato ad aprire un varco per la nostra conoscenza, “andiamoci a fare due scambi nell’altra stanza”.

L’assenza dei genitori sembrava averlo liberato da quell’espressione cupa e seria. Parlava liberamente e sembrava apprezzare il mio riconoscimento per le sue abilità nel tennis, nell’atletica, a scuola, con il gruppo scout. Contrariamente a quanto potessi immaginare inizialmente, non ci sono stati problemi di nessun genere nel fissare il giorno del nostro incontro, nonostante appena rientrati nella stanza con i genitori, Marco abbia indossato nuovamente l’espressione cupa e seriosa.

 

Nei primi incontri Marco mostra un certo disagio a rimanere a casa. Noto una certa difficoltà a comunicarmi i suoi bisogni, che invece agisce. Per esempio, il disagio provato a stare in casa, lo agiva non riuscendo a stare fermo nella stanza, spostandosi da un posto all’altro, manipolando qualsiasi oggetto avesse sotto mano. Non appena esplicitavo il suo bisogno, lo confermava, per poi rilassarsi progressivamente una volta usciti. La funzione di controllo dei genitori nei suoi confronti, probabilmente lo agitava e non voleva che influenzassero la nostra relazione. I genitori sono in una fase controllante, poiché hanno scoperto sul telefono del figlio una chat in cui parlava di marijuana durante un’uscita. La sua problematicità, con l’aggiunta di una nuova situazione rischiosa, li ha allarmati ulteriormente, creando in loro una percezione di perdita di controllo sempre più emergente.

Marco mostra un atteggiamento molto cauto nell’esporsi, mostrando una certa diffidenza, e misurando le parole quando gli ponevo delle domande. È probabile che fosse preoccupato, come poi abbiamo ipotizzato in equipe, che potesse scoprire aspetti di se simili al padre. In tal senso Marco inizialmente ha voluto mostrarmi la sua parte sana, le sue abilità, le sue prospettive future “voglio diventare un avvocato”, “un giorno penso di comprare casa in questo quartiere”, nascondendo la parte più insicura e problematica.

Con l’inizio degli incontri di gruppo dei genitori, avverto un certo cambiamento nel loro atteggiamento, soprattutto riguardo al controllo e al clima di preoccupazione che aleggiava in casa, come se si sentissero più sollevati e quindi meno pressanti e controllanti verso il figlio. Anche Marco risulta più rilassato e si apre un po’ di più sul versante familiare. Mi racconta quanto sia contento nel trascorrere del tempo in casa tra film e camino in compagnia dei suoi, mostrandomi un lato del tutto nuovo ed armonioso con i suoi, contrapponendosi alle relazioni conflittuali raccontate dai genitori. Durante un incontro addirittura, tornato a casa Marco chiede ai suoi di organizzarsi per andare in montagna insieme. Tale discussione porterà ad una armoniosa organizzazione familiare di un fine settimana in montagna durante le vacanze pasquali. La relazione tra Marco ed i genitori si caratterizza tra alti e bassi, tra due posizioni che non sembrano avere un equilibrio funzionale.

Marco è un ragazzo abbastanza chiuso e con difficoltà mostra agli altri le sue emozioni. Anche le sue espressioni del viso tendono a mostrare ben poco del suo vissuto emotivo, tendendo a mostrare delle espressioni poco felici. Come ho avuto modo di osservare è un ragazzo che difficilmente ammette le proprie difficoltà, nonostante le evidenze. Inoltre pur di non ammettere la sua incapacità, tende a non chiedere aiuto, aspettando che sia l’altro ad offrirsi volontariamente, accettandolo senza ringraziamenti particolari. Al contrario, lui tende a svalutare l’attività con cui si confronta, finendo per boicottarla o attaccare chi gliel’ha proposta.

Considerata la sua forte corazza che non permetteva di entrare facilmente in contatto con il suo vissuto emotivo, mi è tornato utile, per conoscerlo meglio, aiutarlo a fare alcuni compiti scolastici. In tal senso, aiutarlo a svolgere delle attività in cui non fosse all’altezza di farcela da solo, avrebbe permesso di perseguire un duplice scopo: da una parte sviluppare consapevolezza circa le proprie difficoltà e aiutarlo a chiedere aiuto quando necessario,dall’altro osservare il suo comportamento e le sue emozioni in modo da metterlo in contatto con le proprie emozioni.

Nonostante una condotta problematica, Marco ha un buon rendimento scolastico. Il ragazzo presenta qualche difficoltà in geometria e disegno tecnico. Inizialmente è stata la madre a propormi di aiutarlo, sostituendosi al figlio. Tuttavia, le volte in cui è capitato, ho fatto in modo che la richiesta di aiuto mi venisse successivamente posta da Marco. In un’occasione Marco chiese di essere aiutato in geometria, per poi lamentarsi che le soluzioni con i decimali non servissero a niente e che il valore del π fosse casuale, contestando anche la soluzione giusta. Cercava la sfida e provocava per passare da un livello in cui si trovava in difficoltà (il problema di geometria) ad uno in cui invece era molto capace (la provocazione). Non seguirlo su questo ma discutendo in maniera serena ma ferma l’ha rassicurato, abbassando i livelli di sfida e consentendo di arrivare ad una condivisione. L’impressione era che tale modalità relazionale fosse nuova per lui, ma anche per la madre che successivamente mi dirà di essere contenta per il modo in cui il figlio lavori e si relazioni con me. Parlando con il ragazzo delle difficoltà affrontate, gli viene rimandata la possibilità di confrontarsi e affidarsi ai propri professori per farsi aiutare. Marco sostiene di non aver un buon rapporto con alcuni professori, con i quali invece tende a entrare in conflitto. In questo senso le esperienze di affiancamento hanno potuto farlo riflettere sui vantaggi che una tale relazione comportasse, e come questa modalità relazionale potesse funzionare anche con loro. Vantaggi in termini relazionali, di sviluppo di nuove abilità, di riconoscimento per le competenze acquisite, di raggiungimento di risultati migliori.

Con l’interruzione delle vacanze pasquali, Marco aveva pensato di interrompere i nostri incontri, comunicandolo ai genitori, i quali ci avevano informati. Tale motivazione ha determinato l’annullamento di due incontri consecutivi. In particolare, la prima volta non ritrovandosi il mio numero di cellulare non mi ha potuto avvisare del suo impegno, facendomi andare comunque all’appuntamento. La madre mi racconterà il diverbio telefonico, che la vedeva insistere per convincerlo a tornare per il suo impegno e lui oppositivo e fermo sul suo non voler tornare. L’ulteriore telefonata del padre non farà altro che polarizzare la posizione del figlio, restituendo ai genitori una sensazione di sconforto ed impotenza. “Le abbiamo provate tutte”, “se fa così a 14 anni chissà a 17-18?”, “non rispetta l’autorità”. Emerge con forza il loro senso di inadeguatezza e la loro richiesta di aiuto. Entrambi si riferiscono al figlio e ai suoi compagni di scuola chiamandoli “bambini”. Emerge una certa difficoltà a cogliere la crescita del figlio, il passaggio che sta attraversando da bambino ad adolescente, il bisogno di fiducia e di separazione dai genitori. Proprio sul concetto di fiducia, i genitori hanno fatto riferimento a due eventi in cui il figlio stava per mettere in atto due gesti estremi e pericolosi, anticipati da una sua affermazione “qui nessuno mi considera”. Tali eventi, dove il vissuto di paura è ancora vivo, rende i genitori ricattabili, come se non dovessero mai andare oltre perché il figlio potrebbe commettere un atto scellerato. Tuttavia la loro modalità educativa e relazionale assume un andamento poco lineare ed incoerente alimentando la problematicità del figlio. Soprattutto con il padre, con cui Marco entra in competizione, tale dinamica si ripropone con intense escalation a cui il padre deve cedere. Si passa da momenti in cui il padre assume una modalità autoritaria a tratti in cui è costretto ad arretrare per la paura che Marco possa farsi del male.

L’analisi dei test somministrati confermano ulteriormente quanto osservato durante gli incontri, ipotizzando che questa conflittualità genitori-figlio sia parte di un processo di svincolo e di individuazione che i genitori non riescono pienamente a sostenere. In particolare emerge come la rappresentazione del figlio sia molto influenzata dal timore che Marco non riesca a seguire le regole imposte dalla famiglia e che questo crei dei conflitti. In particolare molte delle scale sintomatiche hanno registrato punteggi soprasoglia: Ritiro/Depressione, Lamentele somatiche, Problemi del pensiero e Comportamento trasgressivo a cui si aggiungono tratti di Comportamento aggressivo. A questo si aggiunge una descrizione di un ragazzo isolato che non ha amici e non frequenta nessuno. Anche nello sport (tennis) la madre lo considera peggiore rispetto agli altri ragazzi della sua età. Solo il rendimento scolastico risulta nella media o addirittura superiore in letteratura e informatica.

La descrizione che invece Marco dà di se stesso è molto diversa: dichiara di avere un certo numero di amici intimi e di vederli anche fuori dall’orario scolastico. Nelle attività come il tennis e lo scoutismo, ma anche nelle attività scolastiche, sente di comportarsi e di funzionare come gli altri ragazzi.

Dal suo punto di vista (YSR) non presenta alcuna sintomatologia e tutti i punteggi sindromici dello YSR sono molto bassi. Tuttavia presenta punteggi alti ad item come “discuto in modo polemico”, “sono molto onesto”, “posso essere molto amichevole”, “lotto per i miei diritti”, “sono testardo”, “mi piace stare con altre persone”, “mi piace essere corretto con gli altri”, ecc. che sembrano descriverlo come un ragazzo con una forte determinazione e una certa coscienza di sé. Osservando infatti le scale che valutano i pattern di personalità, Marco non ottiene valori significativi in nessuna scala se non una tendenza a valori leggermente elevati nella scala Antisociale, che tuttavia può essere letto come un tratto di personalità che corrisponde ad un comportamento indisciplinato. L’insieme di queste scale, se lette insieme alle Preoccupazioni manifeste, dove Marco riporta punteggi elevati relativamente ai Problemi familiari, sembrano indicare – più che un vero comportamento delinquenziale – una oppositività e un comportamento indisciplinato che sono il frutto di una forte conflittualità familiare. Queste considerazioni sono confermate dal fatto che gli item a cui viene dato valore positivo sono “Le punizioni non mi hanno mai impedito di fare qualsiasi cosa io volessi”, “I genitori e gli insegnanti sono troppo severi con i ragazzi che non seguono le regole”, “Troppe regole mi impediscono di fare ciò che voglio” o “Sono molto bravo ad inventare scuse per tirarmi fuori dai guai”.

Nonostante le forti resistenze di Marco nell’aprirsi ed affidarsi ad un’altra persona, le sue parole nell’ultimo incontro mi hanno dato un feedback importante sul percorso svolto insieme. “Mi dispiace che siamo arrivati alla fine. È vero, a volte ho preferito fare altro piuttosto che incontrarti, ma oggi mi dispiace pensare che sia finito”. In queste frasi si coglie un duplice significato: da una parte emerge la buona alleanza che si era instaurata nonostante qualche alto e basso: “ti chiamo appena finisco gli esami, ti faccio sapere come sono andati”, dall’altra la nuova capacità di Marco di ascoltare il proprio vissuto emotivo e di condividerlo con un’altra persona. Un intervento di così breve durata (circa tre mesi) per un caso con le caratteristiche di Marco, con delle dinamiche consolidate e rinforzate dall’ambiente familiare, non poteva produrre un cambiamento significativo nella condotta del ragazzo. Tale scopo, infatti, necessiterebbe di un lavoro più approfondito su tutto il contesto familiare.

Ciò che invece come equipe abbiamo valutato perseguibile, è stato l’obiettivo di sviluppare un certo grado di consapevolezza circa le sue modalità relazionali in modo che potesse cogliere nelle situazioni i segnali e le emozioni a cui impulsivamente è solito rispondere in maniera oppositiva e provocatoria. Tale capacità potrà aiutarlo nel prevenire l’escalation di alcune situazioni, che lui stesso considera spiacevoli.

Oggi Marco è più consapevole di alcuni suoi aspetti che gli ho restituito, dicendomi che “a grandi linee si ritrova in quello che gli dico”, ammettendo ciò che inizialmente era impossibile aspettarsi da lui. Inoltre mi riporta come questa consapevolezza lo stia aiutando ad affidarsi sempre più ai professori, riconoscendoli nel loro ruolo, e chiedendo loro aiuto per la preparazione della tesina finale. Credo che i nostri incontri abbiano prodotto in lui nuove capacità relazionali, di cui lui stesso è felice di raccontarmi: “sai ho parlato con il professore per la tesina”. “Non sto prendendo più note”; “la professoressa è contenta per i disegni che ho fatto”. Tuttavia mi rimanda che in alcune situazioni, quando qualcuno lo provoca lui non riesce a non rispondere simmetricamente. Le situazioni a cui si riferisce sono quelle familiari, soprattutto con il padre, con cui non riesce ad evitare un rapporto competitivo e conflittuale.

La gratitudine dei genitori rimanda un ulteriore feedback positivo per il lavoro svolto, che spero possa rappresentare l’inizio di una loro nuova modalità relazionale.

  1. Il punto di vista del T.S.R.M.E.E.

A conclusione del Progetto 285/97 “Ricerca intervento in favore di preadolescenti ed adolescenti con problemi psicologici” esprimiamo la nostra soddisfazione per il lavoro svolto in collaborazione con il vostro progetto su minori (tutti in situazioni complesse) da noi segnalati. Benché siamo venuti a conoscenza del progetto solo tardivamente tale intervento ci ha permesso di raggiungere obiettivi importanti. Riteniamo che i risultati ottenuti, in relazione alla brevità dell’intervento, sono collegati alla ottima competenza degli operatori e all’attenzione anche verso i genitori.

In quasi tutti i casi il percorso del minore non può prescindere da quello dei genitori. In altri casi, questo ultimo, rappresenta l’intervento prioritario per favorire lo sviluppo del ragazzo. Gli incontri con i genitori hanno permesso di ottenere una maggiore collaborazione da parte di questi ultimi con apertura al cambiamento dei figli.

Gli operatori che hanno incontrato direttamente i ragazzi sono riusciti in poco tempo a stabilire una relazione significativa con i minori nonostante la loro reticenza di fronte all’inserimento di un operatore.

Inoltre questo progetto ci ha permesso di ottenere una migliore conoscenza dei minore attraverso le osservazioni degli operatori che li hanno incontrati nel loro ambiente. In questo modo sono emerse quelle risorse che per esprimersi richiedono tempo, costanza nella relazione e, a volte, un ambiente non medicalizzato.

In conclusione riteniamo adeguato e importante tale progetto, anche nell’ottica della integrazione socio-sanitaria, per la tutela e salute dei minori. Sottolineiamo però, come elemento negativo, la brevità dell’intervento e la scarsità degli incontri settimanali tra operatori e i ragazzi.

Segnaliamo quindi l’estrema necessità, soprattutto in questo momento, di poter usufruirei di tale supporto al nostro lavoro per la tutela e la prevenzione del rischio psicopatologico sui minori.

  1. Considerazioni conclusive

Abbiamo incontrato dei ragazzi e le loro famiglie, ognuna con la loro storia, molto diversa seppur accomunata da qualcosa. La sensazione di riuscire con difficoltà ad attraversare il passaggio dall’infanzia all’età adulta. Difficoltà manifestata dai ragazzi ma anche dai genitori, che apparivano quasi colti di sorpresa nel vedere i loro bambini che chiedevano più autonomia, talvolta in maniera violenta o incongrua. Si sente dire che per gli adolescenti di oggi sia più difficile attraversare questa fase. Forse in parte è vero, i riti di passaggio sono più sfumati; i bambini vengono precocemente “adultizzati” mentre i giovani accettano volentieri le comodità familiari rimandando lo svincolo dalla casa paterna. Questo progetto ha incontrato situazioni molto diverse, e per ognuna ha pensato qualcosa di specifico all’interno di un quadro metodologico e teorico che si fonda nella capacità dell’operatore (psicologo con formazione specifica) di fornire uno spazio mentale, una funzione che possa permettere di attivare processi trasformativi delle emozioni altrimenti costrette a prendere la strada dell’azione.

Per ogni ragazzo o ragazza si è cercato di individuare quale fosse il punto di rottura, attuale o passato, che tipo di “contratto” potevamo stringere con loro per creare un clima di fiducia indispensabile a trattare insieme temi sentiti come vitali.

Questo progetto, dicevamo in premessa, è attivo, anche se con qualche pausa, ormai da più di dieci anni, ed ha mostrato la potenzialità di un’attività di frontiera, che intercetta il disagio quando ancora non ha assunto intensità da emergenza, ma anche in quelle situazioni dove ormai sembra non si sappia cosa fare.

Questa edizione ha confermato, se ancora ce ne fosse bisogno, della differenza introdotta dal lavoro di rete o Case Management, cioè di quella prassi che vede la sinergia delle diverse figure nei diversi contesti di vita del ragazzo.

Nel nostro caso, oltre alla stretta collaborazione con gli invianti si è cercato di coinvolgere i genitori attraverso un’esperienza di gruppo. Non era scontato l’esito, il gruppo può intimorire e si può non aver voglia di parlare delle proprie sofferenze con sconosciuti. Da subito si è lavorato invece affinché fosse palpabile la funzione di rispecchiamento, di identificazione, e di alleggerimento che permette la messa in gioco e in discussione dei propri assetti culturali, educativi, emozionali.

Da addetti ai lavori ci sentiamo di condividere, per chiudere questo lavoro, le raccomandazioni che i tecnici del municipio davano alla politica nel già citato Piano Sociale di Zona “in linea con i bisogni evidenziati, si ritiene importante dare seguito alle azioni che hanno dato risposte concrete e si sottolinea l’importanza nella continuità nel lavoro sopratutto in quei casi che prevedono la presa in carico”.

Bibliografia

Bernardotti A., inserra P.P. 2008. Noi ci siamo: conflitti e partecipazione nell’adolescenza. Sviluppo Locale Edizioni Roma

Bowlby J. 1983 Attaccamento e perdita Bollati Boringhieri

Carta M. (a cura di) 2006. Politiche sociali e progetto per adolescenti. Gruppo Editoriale Agorà Roma

Ferrari A. 1994 Adolescenza la seconda sfida Borla

Hartmann H. 1978 Pscicologia dell’Io e problema dell’adattamento Bollati Boringhieri

Laufer Moses &M.Egle 1986 Adolescenza e breakdown evolutivo Bollati Boringhieri

Novelletto A. 1986 Psichiatria psicoanaliticia dell’adolescenza Borla

PietropolliCharmet G. 2000. I nuovi adolescenti; padri e madri di fronte a una sfida. Cortina Editore

Rossi A. (a cura di) 2006. Adolescenti e tempo libero: una ricerca nei centri aggregativi del IV Municipio di Roma

Winnicott D.W. 1975. Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli editore

[1] Piano Sociale di Zona Municipio IV Roma Montesacro 2011-2015

[2] Osservatorio Adolescenti

[3] UIM – “Unità Interdistrettuali di Servizio Specialistico per Minori e Sostegno aal Genitorialità” L. 285/97

[4]progetto   “Sostenere chi sostiene”. Costruzione di un Modello di Valutazione degli Interventi e dei Servizi Sociali nel   Comune di Roma”

[5]Piano Sociale di Zona Municipio IV Roma Montesacro 2011-2015

[6]Si usa il termine figli al plurale perché i ragazzi, pur essendo molto diversi l’uno dall’altro, per storia, capacità e/o patologia, all’interno del gruppo genitori sono stati spesso accomunati in atteggiamenti simili e, soprattutto, i vissuti dei genitori, in loro risposta, sono estremamente somiglianti.

 

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